Michela Murgia ha diretto, su invito di Simone Marchetti, l’ultimo numero in edicola del settimanale Vanity Fair. Lo ha fatto incentrando la rivista sul tema delle famiglie queer, una “definizione ombrello in cui rientrano tutte le forme di relazione che vanno oltre il modello di famiglia tradizionale riconosciuto dalla legge”.
All’interno del settimanale, anche una lunga intervista, dove la scrittrice sarda ripercorre alcune tappe fondamentali della sua vita e riflette sulla sua malattia.
Siamo stati colpiti, in particolare, dall’associazione che Michela Murgia fa tra famiglia e nuraghi. «In Sardegna ci sono 7.000 nuraghes – scrive – torri di pietre diffuse come una specie di connessione neuronica. Sono costruite in modo che da una tu ne possa vedere almeno altre due, così che se uno non ti vede, almeno ti vede l’altro. Quando arrivavano le navi verso la costa, il nuraghe più vicino accendeva il fuoco in alto e dall’alto gli altri due potevano vedere nella notte il pericolo. La storia dei nuraghes restituisce l’idea che due non basta. Il modello coppia regge finché non succede un vero casino: quando uno dei due si ammala, o va in depressione, o perde il posto, o ha una crisi l’altra persona deve reggere tutto il peso di questo squilibrio. A volte può farlo, altre no. E se non c’è nessuno vicino, non esiste la possibilità di trasferire il peso su più persone. La queer family è un modo di gestire meglio il peso di queste cose».
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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi
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