Perché i nuraghi si chiamano così? Questo si domanda Antonio Maccioni in un libro nel quale spiega vari perché della Sardegna. La ricostruzione dell’etimologia del termine ha impiegato molti studiosi nel corso del tempo, Maccioni si basa sugli studi di Giovanni Lilliu, di Giovanni Ugas e di Massimo Pittau.
In lingua sarda, innanzitutto, vi sono varianti della parola: “nuraghe” – variante classica passata dal logudorese all’italiano – “nurake” nuorese, “nuraque o nuratze” barbaricina, “nuracci e nuraxi” campidanese e “nuragu e nuracu” gallurese.
Secondo Lilliu – ci ricorda Maccioni – la parola nuraghe ha un’origine preindoeuropea: nel 19° secolo era messa in relazione con la radice fenicia di nur (fuoco) e intesa quindi come dimora, tempio del fuoco – con riferimento ai culti solari praticati sulla terrazza delle torri nuragiche. I filologi richiamati da Lilliu avrebbero poi ricollegato il termine “Nur” al duplice significato di “mucchio” e “cavità”. Torre cava, quindi, concepita con significati religiosi.
Secondo Giovanni Ugas, archeologo, la diffusione sistematica del termine “nur” nelle zone interne della Sardegna sarebbe un’ulteriore certezza sulla sua origine prefenicia. Secondo lui, il vocabolo risalirebbe almeno all’età del bronzo. In questo caso, sarebbe possibile che voglia dire “girare, voltare” – quindi rimanderebbe alla parola “tholos” indicata dai Greci per gli edifici sardi con la volta.
Secondo il linguista Massimo Pittau la variante “muraghe” – meno diffusa di nuraghe – potrebbe rimandare a “mura”, relitto protosardo o nuragico con il significato di “mucchio di pietre”. Questo termine andrebbe confrontato con il latino “murus”, muro. In questo caso, potrebbe avere il significato di “torre muraria”.
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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis
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