Si chiamano “ Pintaderas” e risalgono all’epoca nuragica, sono piccole matrici di terracotta circolari in basso rilievo che servivano per decorare il pane votivo ancora crudo. Potevano avere un diametro che variava dai 5 ai 10 centimetri e venivano utilizzate come una sorta di timbro che imprimeva figure geometriche in rilievo prevalentemente a raggiera. Il pane, considerato un bene prezioso, veniva anche donato alle divinità. Molti bronzetti rinvenuti negli scavi archeologici in diverse zone della Sardegna, infatti raffigurano uomini nell’atto di salutare in un gesto di devozione la divinità, mentre recano un piccolo pane nella mano sinistra. Queste piccole focacce sono caratterizzate da decorazioni che ricordano i motivi delle pinaderas ma incise in negativo.

Le pintaderas, simili tra loro, ma con molte varianti risalgono al termine del Bronzo Finale e alla prima Età del Ferro (X-VIII secolo a.C.) e sono state rinvenute in diversi scavi, nei villaggi e nei luoghi di culto, a dimostrazione del fatto che erano state create proprio con lo scopo di decorare il pane destinato alle cerimonie. Questa tradizione di decorare il pane con le matrici è stata mantenuta anche in epoca punica, in quella cartaginese e romana.

Anche in epoche molto più recenti, si usava “timbrare il pane”, anche se la finalità era diversa. Non si trattava infatti di decorare il pane, ma dal momento che spesso si utilizzavano forni pubblici per la cottura del pane, ogni famiglia usava contrassegnare il proprio pane con una “marca” personalizzata per distinguerlo da quello degli altri. Le marche erano fatte di legno e spesso erano finemente scolpite con complesse composizioni floreali, motivi geometrici o animali.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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Ziu Francesco Palmas e zia Battistina Piga hanno vissuto la loro lunga vita sempre insieme, mano nella mano.

Anche se oggi “Ziu Frantziscu” non c’è più il ricordo del loro amore espresso in questa bellissima foto pubblicata nel giorno di San Valentino da Pierino Vargiu e Angela Mereu, i fotografi dei centenari, è un’immagine bellissima e senza tempo dell’amore.

Tanti auguri a tutti i lettori innamorati di Vistanet, di qualunque età.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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I posti più belli della Sardegna: Sadali, un luogo fiabesco, paese dell’acqua e degli innamorati.

(PHOTOGALLERY) Camminare in un vecchio borgo rurale immerso nel verde, in mezzo a ruscelli, fontane, mulini e cascate. Sadali è il paese nell’acqua: nessun altro luogo in Sardegna presenta una quantità tale di sorgenti perenni. La vegetazione rigogliosa, boschi di lecci e roverelle, le vecchie case di pietra, i giardini e gli orti terrazzati e il suono costante del defluire dell’acqua rendono l’atmosfera fiabesca. Per questo e per altri motivi è uno dei luoghi più amati dagli innamorati in Sardegna.

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 Museddu 30  


Tutto sembra interagire per dare unicità a questo luogo. Non sarà un caso che l’unico santuario dell’Isola dedicato a San Valentino, il santo dell’amore, sia stato intitolato proprio qui. Sadali è il paese dell’acqua e dell’amore: con la parrocchiale dedicata al Santo degli innamorati e la meravigliosa Cascata di San Valentino nel centro storico si respira un’atmosfera romantica senza eguali nell’Isola.
San Valentino, Patrono di Sadali, nel piccolo paese della Barbagia si festeggia ben tre volte: il 14 febbraio, l’8 maggio e soprattutto il 6 ottobre: data della festa principale.

 

Siamo ancora in provincia di Cagliari ma Sadali, situato a 760 metri di quota, si trova già nella Barbagia di Seulo. La mancanza d’acqua che attanaglia l’Isola non tocca questa zona: la presenza di un vasto altopiano carsico garantisce un serbatoio alimentato da sorgenti perenni e acqua piovana, che vanno ad accumularsi nelle falde sottostanti.

L’inghiottitoio di Sa Ucca Manna, la cascata di Su Stampu ‘e su Turrunu, le grotte di Is Janas (visitabili) sono solo alcuni di questi fenomeni carsici che interessano Sadali. In paese l’acqua viene convogliata nella grande fontana centrale ma in ogni via del vecchio centro storico, costituito da edifici di pietra e viali larghi (a differenza degli altri borghi barbaricini) alberati, sono presenti vasche, fontane, canalette sopraelevate e piccole e grandi cascate. L’acqua è viva, gorgoglia, passa sotto le case, in alcuni casi dentro ed è l’elemento costante nella quotidianità del paese.

 

 

Sadali (fermata del Trenino Verde, attualmente, in parte, sospeso) mantiene quasi intatto il suo aspetto di origine medievale e da qualche anno ha intrapreso un percorso di musealizzazione che ha fatto sì che il borgo venisse preservato dal punto di vista architettonico e urbanistico. A Sadali si radunano associazioni di artisti che interagiscono con la comunità locale per la promozione del paese e delle tradizioni, con rassegne musicali, pittoriche e percorsi artistici. Chi arriva qui rallenta e si rasserena. Trekking, meditazione ma anche gastronomia: Sadali, infatti, è famosa anche per i suoi prodotti biologici e in particolare per i culurgiones di pasta fresca ripieni di patate, menta fresca e pecorino.

 

Come arrivare

Da Cagliari si percorre la Statale 131 sino allo svincolo sulla 128 per Senorbì. Si prosegue per il bivio di Isili, per poi immettersi sulla 198 per Sadali. Sono circa 95 km (1 h e 40’).

Dove mangiare

Su Stori (piazza Venezia, 4, telefono: 0782 59042), ambiente semplice, cibi genuini.

Dove dormire

Monte Granatico (via Roma, 53, telefono: 0782 59328), accogliente, pulito, con vasto giardino e possibilità di mangiare.

Cosa comprare

Culurgiones, formaggi di pecora e capra, strumenti musicali (launeddas), utensili e oggetti artigianali di ferro e rame.

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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Lo sapevate? Nel 2004 un aereo che trasportava un cuore si schiantò nei monti di Sinnai: morirono 5 persone.

Trasportava un cuore prelevato da una donatrice al San Camillo di Roma e destinato per un trapianto ad un paziente del Brotzu, il Cessna 500 precipitato nel 2004 sui monti di Sinnai. Morirono tre medici dell’equipe del Brotzu, guidata da Alessandro Ricchi, e i due piloti.

Sono passati quasi 22 anni dal 24 febbraio 2004, quando un aereo Cessna 500 proveniente da Roma e diretto a Cagliari si schiantò sulle pendici (punta Baccu Malu) del monte Cresia, sui Sette Fratelli, nel comune di Sinnai.

La notizia suscitò grande commozione, Ricchi e i suoi colleghi erano molto noti a Cagliari. L’equipe morì su un aereo che trasportava un cuore prelevato da una donatrice al San Camillo di Roma e destinato ad un paziente in attesa di trapianto ricoverato all’Ospedale Brotzu di Cagliari. Una corsa contro il tempo che purtroppo risultò fatale.

Nella tragica sciagura accaduta all’équipe cardiochirurgica composta da Alessandro Ricchi, Antonio Carta e Gianmarco Pinna persero la vita, oltre all’équipe del Brotzu anche i due piloti austriaci Helmut Zurner e Thomas Giacomuzzi con il tirocinante Daniele Giacobbe.

 

Il pilota aveva manifestato al Controllo aereo l’intenzione di effettuare un avvicinamento “a vista” rispetto all’aeroporto, dove avrebbe dovuto utilizzare la pista 32. Ciò sarebbe stato motivato dalla volontà di arrivare velocemente all’ospedale, evitando il tragitto più lungo che aggira, dal mare, i rilievi che circondano Cagliari. Al momento di scomparire dagli schermi radar per l’impatto con la parete della punta Baccu Malu, l’aereo si trovava, secondo gli accertamenti effettuati, a circa 3.300 piedi di altezza e volava a una velocità di 226 nodi (equivalenti a 419 Km/h), a una distanza di circa 17 miglia dalla pista.

I soccorritori accorsi sul luogo del disastro trovarono i resti dell’aereo pressoché disintegrati nell’impatto con la montagna e poterono recuperare in giornata i corpi delle vittime. Fu ritrovato anche il contenitore con il cuore che veniva trasportato ai fini del trapianto, ma esso era ormai inservibile.

Un Cessna 500, stesso modello di quello precipitato il 24 febbraio 2004 a Sinnai

Un Cessna 500, stesso modello di quello precipitato il 24 febbraio 2004 a Sinnai

Cinquantuno anni prima, nel 1953, la stessa zona era stata il teatro di un altro incidente aereo. Cadde un DC 3 della LAI, una Compagnia aerea antesignana dell’Alitalia, e morirono 19 persone. Anche in quel caso tra le vittime vi era un cardiochirurgo.

 

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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«Un senso infinito di spazio e solitudine»: questa la prima impressione descritta dal documentarista e regista sardo Fiorenzo Serra in un bellissimo documentario sull’Isola realizzato nel 1953.

Un documento prezioso accompagnato sapientemente dalle musiche del compositore cagliaritano Ennio Porrino.

Nel documentario, che racconta con analitico distacco la Sardegna del secondo dopoguerra, compaiono soprattutto le zone dell’interno, Oliena, Desulo, Busachi, Samugheo e alcuni centri del Campidano in particolare.

In questo spezzone pubblicato su Youtube il racconto si concentra soprattutto sui costumi sardi, un unicum in Italia e non solo che colpisce la meraviglia del narratore.

«I costumi della Sardegna non sono solo folklore ma un fatto di vita, il simbolo di un mondo che scompare, l’ultimo vivo barlume di una favolosa stagione» conclude Serra celebrando le tradizioni dell’Isola.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Un 50enne nel foggiano si è rifiutato di esibire il green pass all’ingresso del Municipio e quando è stato allontanato dalle guardie, preso dall’ira, si è messo alla guida della sua auto ed è andato a scontrarsi contro una Fiat Panda di proprietà del Comune.

Nell’impatto, come riporta Ansa, è crollata una parte di un’impalcatura montata per eseguire lavori di ristrutturazione al palazzo.

Fortunatamente non ci sono sono stati feriti, solo tanta paura tra i presenti, e il 50enne è stato identificato.

 

 

 

 

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Lo sapevate? Quando il livello del Lago Omodeo si abbassa, compare una grande villa abbandonata.

Quando il lago artificiale fu creato per produrre energia elettrica, la vallata venne sommersa, compresi una villa, un piccolo borgo, una foresta tropicale pietrificata e alcuni nuraghi.

Il lago Omodeo è un lago artificiale della Sardegna. Si trova in provincia di Oristano, nella subregione storica del Barigadu.

È formato dallo sbarramento del fiume Tirso tramite la diga di Santa Chiara prima e dalla più recente diga Eleonora d’Arborea, situate rispettivamente in territorio di Ula Tirso e Busachi. Il bacino idrico è intitolato ad Angelo Omodeo, l’ingegnere che curò la progettazione della prima diga, che rimane parzialmente sommersa dalle acque del nuovo invaso.

Più di cento anni fa, esattamente nel 1917, fu realizzato quello che allora era il più grande lago artificiale d’Europa: il Lago Omodeo, che come detto prende il nome dall’ingegnere che lo ha progettato. Lo scopo del lago era quello di produrre energia elettrica e di sfruttare le acque del Fiume Tirso per irrigare il Campidano.


Ma prima di cominciare i lavori si dovette risolvere un problema: Zuri, un piccolo borgo che si trovava a 88 metri sul livello del mare, sarebbe stato sommerso, poiché l’acqua del lago sarebbe arrivata a 105 metri. Perciò si decise di demolirlo e di ricostruirlo più in alto, compresa una magnifica chiesa romanica del 1291.

Così la valle venne sommersa. Ogni tanto, quando il livello dell’acqua cala, viene fuori il passato: una foresta pietrificata, alcuni nuraghi, e anche quella che viene chiamata la casa del capocentrale o da alcuni “casa del custode”.

Nel 1941, in piena guerra mondiale, la diga fu attaccata da aerei britannici. Fu sostituita da una nuova, alta cento metri e lunga 582, intitolata a Eleonora d’Arborea, costruita in 15 anni e inaugurata nel 1997. La nuova costruzione sommerse in parte il precedente sbarramento.

La vallata ricoperta d’acqua custodisce un tesoro archeologico: insediamenti nuragici e quello pre-nuragico di Serra Linta stanno sott’acqua insieme a una foresta tropicale fossile, antica circa 20 milioni di anni, e al suggestivo paesino di Zuri. Il villaggio, sacrificato con la costruzione della diga, è stato ricostruito a monte, insieme alla chiesa romanica dedicata a San Pietro apostolo (del 1291), smontata e riedificata concio per concio (1923)


Per quanto riguarda la villa, in realtà in questo edificio erano ospitati il capocentrale, il vicecapo e le loro famiglie. Dall’alto gli automobilisti probabilmente non notano nulla, anche perché per buona parte dell’anno l’edificio è quasi del tutto coperto dall’acqua. Si trova proprio sotto la vecchia diga, di fronte al ponte che la sovrasta. Era una bella villa a due piani circondata da un giardino con un laghetto, un frutteto, delle palme e un banano.

L’edificio era costituito da due appartamenti perfettamente simmetrici: al piano terra la cucina con camino, un salone, un piccolo soggiorno e uno stanzino dov’era posizionato il telefono (collegato con la centrale del Tirso); al secondo piano quattro camere da letto e il bagno, e sopra un sottotetto.

 

A causa del prolungato periodo di siccità la casa sommersa nel Lago Omodeo puntualmente riaffiora.

Sul fronte opposto rispetto alla casa del capocentrale, si trova un altro edificio, che in passato ospitava i carabinieri di Ulà Tirso e successivamente i custodi della diga.

 

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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La foto di oggi, gentilmente concessa da Massimo Mulas, ritrae i casotti che negli anni Sessanta facevano capolino al Porto di Arbatax.

Un vecchio ricordo di un’Ogliastra che non c’è più.

Invia le foto più belle del passato ogliastrino alla nostra mail redazione@vistanet.it ( indicando il nome del fotografo e de luogo immortalato).

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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Un unico viaggio, un amore scolpito nel cuore fino agli ultimi giorni della sua vita. Gabriele D’Annunzio aveva appena diciannove anni quando, nel maggio del lontano 1882, decise di intraprendere un tour dell’isola che aveva sempre immaginato. Un’isola che all’epoca era ancora selvaggia, circondata dalla natura e non dal cemento ed è questa una delle cose che ha spinto il Vate, all’epoca appena diventato famoso, a conoscere da vicino questa “terra magica”, come la chiamò in seguito.

Sbarcò a Terranova (l’odierna Olbia) con due collaboratori della rivista romana Capitan Fracassa e visitò dapprima Alghero, Nuoro e Oliena. Durante il soggiorno nel paese barbaricino il poeta e scrittore ebbe modo di assaggiare il vino Nepente, di cui tesse le lodi nella prefazione del libro dell’amico tedesco Hans Barth “Osteria. Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri”. Scrisse: “Non conoscete il nepente d’Oliena neppure per fama? Ahi lasso! Io son certo che, se ne beveste un sorso, non vorreste mai più partirvi dall’ombra delle candide rupi e scegliereste per vostro eremo una di quelle cellette scarpellate nel macigno che i Sardi chiamano Domus de Janas, per quivi spugnosamente vivere in estasi fra caratello e quarteruolo”.

Poi fu la volta di Villacidro; qui D’Annunzio rimase estasiato dalla cascata Sa Spendula tanto da scriverne una poesia dall’omonimo titolo. Anche la tappa a Cagliari fu di grande ispirazione per il Vate. In particolare, la visione delle bianche piramidi delle saline di Molentargius fu lo spunto per la poesia “Sale”. Nella Sardegna meridionale e a Cagliari D’Annunzio vide molte similitudini con il Nord Africa tanto che, nella poesia “Sotto la Lolla”, paragona certi paesaggi e panorami, oltre che i volti delle persone, proprio all’Africa settentrionale.

Durante il suo soggiorno sardo, il poeta promise di scrivere un libro con foto, storie e testimonianze, ma non se ne fece più nulla. Rimasero però degli articoli, reportage e lettere a testimonianza dell’amore del Vate per la nostra isola. La Sardegna, dunque, lo stregò a tal punto che sognò sempre di farvi ritorno. “Ho nostalgia della Sardegna da dodici anni, come d’una patria già amata in una vita anteriore”, scrisse nel 1893 in una lettera indirizzata al giornalista Stanis Manca. Nonostante le intenzioni, per varie vicissitudini non poté più tornare.

 

(Articolo scritto il 3 ottobre 2018 da Stefania Lapenna).

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Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

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“Su Scultone”, un serpente-drago, secondo una leggenda si aggirava per la campagna di Baunei seminando terrore, perchè uccideva chiunque, fissandolo con il suo sguardo. Inoltre, ogni anno, dovevano essere sacrificate a lui sette giovani fanciulle del paese di Baunei.

Un giorno San Pietro, passando nei pressi del Golgo, trovò una ragazza seduta sopra un masso, che piangeva disperata perchè sapeva di essere destinata a cattiva sorte, quella di finire in pasto al serpente. Le si avvicinò, la consolò e la incaricò di riferire ai paesani che lui li avrebbe liberati del serpente se avessero costruito una chiesa, in quel posto, in suo onore.

E così fu. Pietro andò sul monte alla ricerca di Scultone, e una volta trovatolo, lo prese per la coda e con violenza lo scagliò a terra. Il serpente sprofondò dando origine alla voragine.

E sempre secondo una leggenda, passando di lì nel cuore della notte, si sentono i lamenti delle anime infernali provenire dall’interno, anche quelle di un contadino e ci precipitò con i buoi, punito per aver lavorato nel suo campo anzichè assistere alla Messa nel giorno di festa del Santo.

 

Leggenda tratta da “Ogliastra, paesi e leggende” a cura di Fidalma Mameli 

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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda

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