Maialetto, proceddu, porcetto, pulcheddu, porcheddu…Sono tanti i nomi dati al piatto più tipico e tradizionale della cucina sarda. Il maialetto è infatti una ricetta che unisce tutta l’Isola e che è ormai conosciuta da chiunque vi sia stato almeno una volta.

Molti non sanno però che questo piatto viene preparato – con alcune differenze – anche oltremare. Non in Italia come si potrebbe immaginare, ma in un Paese straniero. Il “cochinillo asado” è infatti uno dei piatti più tradizionali della Castiglia, la parte centrale della Spagna.

Tra Madrid e Segovia è uno dei piatti più diffusi e tradizionali. Il maialino è rigorosamente da latte (peso intorno ai 4-4,5 kg) e viene cucinato in un forno a legna a 180 gradi dopo essere adagiato in un vassoio di pietra. Viene spennellato sulla cotenna con lo strutto così da rendere la pelle estremamente croccante. Sul fondo si mette un po’ d’acqua, in superficie sale grosso. Questi accorgimenti, uniti al fatto che si tratta di un suino molto piccolo, permettono alla carne di diventare tenerissima: un buon “cochinillo” viene tagliato a pezzi mediante l’uso di un piatto di ceramica.

Preparazioni simili esistono in altri Paesi del mondo, tutti di tradizione latina. Nelle Filippine è un rito apprezzato in tutto il mondo, in Portogallo viene preparato in modo moto simile alla Spagna e a Puerto Rico è un piatto nazionale. Rientra tutto nella consolidata tradizione del “lechòn” (in spagnolo) o leitão (in portoghese), ovvero del cucinare al fuoco il maialino da latte.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Una bambina in punta di piedi su un gradino intenta a buttare nel cestino una bottiglietta vuota, mentre altre figure che hanno lo stesso sguardo rivolto alla cura dell’ambiente, della natura e della vita, trovano posto sicuro su altre pareti delle vie nel centro storico di Loceri.

È un racconto fra presente e futuro quello che Michela Casula, artista di origini loceresi, ha voluto rappresentare attraverso otto murales che hanno preso forma ai primi di dicembre, in occasione dell’importante rinnovo del percorso artistico nel paese.

L’autrice, nota artista del territorio isolano che oggi vive a Loceri, è rinomata per il suo stile ben definito ed è firma di molte opere su tela presenti in tutta l’Ogliastra e la Sardegna.

Insieme con lei, per l’occasione, l’Unione dei Comuni dell’Ogliastra e l’amministrazione comunale guidata dal sindaco Gianfranco Lecca; enti con i quali la Casula ha immaginato il progetto artistico “Un Mondo Migliore”“Involucri”, sviluppato raccontando, mediante diverse scene sparse lungo le vie del paese, stili di vita e buone abitudini alla base di una società che mette al centro l’individuo, la sua dignità, i rapporti sociali, l’etica e la tolleranza verso il prossimo. I diversi murales, raffiguranti piccoli scorci di vita quotidiana, rappresenteranno vari temi quali l’integrazione, l’inclusione, l’empatia, la parità di genere, il rispetto verso le persone e l’ambiente.

“Ho fortemente voluto toccare questi temi e aprire nuove finestre sull’arte – dice Michela Casula – L’apertura al bello è il motore dell’entusiasmo e della voglia di migliorarci.  Il progetto, infatti, è parte integrante di una filosofia e di un processo di attenzione verso la natura, i valori della società, curiosità e colore che come artista voglio portare nelle mura del mio paese”.

“I nuovi murales raffigurano in modo poetico il presente ed il futuro del nostro pianeta  – dice il sindaco Gianfranco Lecca – a significare la progettualità, la presenza e gli obiettivi che caratterizzano la nostra filosofia come amministratori ma soprattutto come cittadini: il futuro sono i nostri bambini, i nostri figli che sanno bene cosa è giusto per il nostro pianeta. Fanno da contorno le altre figure che rievocano la natura, oltre al presente, a rappresentare il nostro dovere e la nostra capacità di rispettare la natura che ci ospita su questa terra”.

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Il 31 dicembre e Capodanno la Sardegna sarà ancora avvolta dal clima primaverile.

Le temperature, secondo le previsioni dell’Ufficio Meteo dell’Aeronautica militare di Decimomannu (Cagliari), permarranno attorno ai 21 gradi, soprattutto sulle coste.

“Per il 31 avremo una giornata soleggiata con temperature massime attorno 21 gradi, che significa almeno 4 gradi in più rispetto alle medie stagionali del periodo. La ventilazione si presenterà dai quadranti meridionali”.

Per vedere uno sprazzo d’inverno si dovrà attendere il fine settimana dell’Epifania.

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Si racconta che tanto tempo fa davanti al litorale di Tortolì navigasse una nave di pirati che si scontrò con una imbarcazione locale. Ne nascque un conflitto e nel parpiglia volarono insulti e bestemmie contro la Madonna da parte dell’equipaggio.

Immediatamente la nave pirata fu pietrificata.

Nacque così lo scoglio che si trova davanti al colle di San Gemiliano.

Nei pressi dell’omonima torre, secondo la leggenda, venne trovato un cannone dal quale furono fatti partire tre colpi col proposito di costruire una chiesa sui punti in cui sarebbero finite le palle di cannone.

Nacquero così tre chiese: San Gemiliano, San Lussorio e San Salvatore.

 

 

Testo tratto da “Ogliastra, paesi e leggende” di Fidalma Mameli

 

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Non tutti sanno perché uno dei prodotti tipici della nostra terra, il pane carasau ( in Ogliastra detto anche pistoccu) venga chiamato anche “carta da musica”, soprattutto nelle altre regioni italiane.

In realtà il motivo è semplice, soprattutto per chi conosce questa tipologia di pane, sottilissimo e croccante. Infatti, è detto “da musica”, per la particolare croccantezza che ne rende rumorosa la masticazione, che diventa, appunto, una sorta di “musica” sulle tavole sarde ( e non solo).

Secondo alcuni studi, si può affermare che questa eccellenza della panificazione sarda affonda le sue radici già nell’età del bronzo.

Nacque principalmente per soddisfare le esigenze dei pastori che, stando a lungo lontano da casa avevano bisogno di un alimento che mantenesse le proprie caratteristiche nel tempo. Utilizzando grano duro o orzo, questo pane veniva spesso abbinato a formaggi, e all’occorrenza poteva diventare un vero e proprio piatto.

Questo tipo di pane racchiude in sé tanta semplicità, saperi, storie e tradizioni preziosissime tramandate nel tempo. La sua particolarità è legata proprio all’antico metodo di preparazione, che durava diverse ore e che coinvolgeva un tempo tutto il nucleo familiare.

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I paesi ogliastrini hanno una peculiarità: tutti possiedono un soprannome che deriva da leggende o storie passate che per sempre vivono nei ricordi degli anziani di ogni paese, scrigni di storia e tradizioni. Uno degli appellativi più caratteristici e particolari è quello che appartiene agli abitanti di Gairo: “Facc’e Luna” (Faccia di Luna).

Gli anziani del paese ogliastrino raccontano che una volta, in periodo di guerra e fame, ventinove giovani gairesi, passeggiando nei pressi di una pozza d’acqua, videro una figura immersa che sembrava una forma di formaggio. Iniziarono a discutere su cosa fosse effettivamente quell’immagine nell’acqua, un’immagine talmente realistica da farli arrivare alla conclusione che fosse formaggio, certi che a qualcuno fosse caduto giorni prima.

Uno dei giovani, il più coraggioso e avido, si buttò nel pozzo per primo per riuscire a prendere il formaggio e tenerlo per sé. Il giovane provò più volte a prenderlo ma con scarsi risultati, poiché la figura spariva appena egli si avvicinava. Non vedendolo risalire in superfice, gli altri, convinti che avesse preso il formaggio e se lo stesse mangiando da solo, uno dopo l’altro si buttarono nello specchio d’acqua per cercare di prenderne almeno un pezzo.

La terra sotto la pozza iniziò a cedere per i movimenti dei giovani. Rimasero imprigionati sino a morire annegati. Ventotto persone su ventinove morirono nell’impresa. Solo un giovane si salvò e tramandò la storia per generazioni.

In verità, quella che sembrava una forma di formaggio non era altro che il riflesso della Luna piena nell’acqua.

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Bianco Natale a Tortolì. Non da neve, ma da spiaggia. Temperature primaverili in questo inverno e allora tutti alla spiaggia di Porto Frailis. Ed è il 25 dicembre.

Alta pressione che ha investito la Sardegna e in Ogliastra ha regalato temperature certamente non del periodo.


Tante famiglie in spiaggia. C’è chi addirittura ha rispolverato il costume da bagno della scorsa estate. Altri, invece, hanno optato per una passeggiata.

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Tra le varie festività, quella attesa con più gioia e trepidazione è sicuramente il Natale. Ieri, quando ancora la modernità e la globalizzazione non avevano influenzato le varie culture, come veniva trascorso e quali erano le tradizioni legate al Natale?

Tutto prendeva vita la sera del 24 dicembre, davanti ad un camino. La famiglia si riuniva attorno al tepore emanato dal fuoco, mentre davanti ai loro occhi bruciava un grosso ceppo. Quest’ultimo, non era un pezzo di legno qualunque: “su troncu de xena” ( “il tronco della vigilia di Natale”) veniva tenuto acceso a partire dalla vigilia – come dice il nome stesso – fino almeno all’Epifania, con lo scopo di scaldare il Bambin Gesù. Secondo la leggenda, la meticolosità della famiglia nella cura del ceppo, avrebbe portato fortuna l’anno successivo.

Allora non venivano addobbati grandi e folti alberi di Natale, ma le pareti della casa erano abbellite con cura da donne e bambini, che vi appendevano rametti di menta, alloro o ancora rami d’ulivo.

Momento di incontro e unione dei giovani e meno giovani del paese, la messa della vigilia, detta anche “sa miss’è pudda”, era l’avvenimento più atteso della giornata. Tutti si ritrovavano in chiesa, e proprio a causa di questa grande folla che si radunava in un unico punto, molto spesso il tutto – messa compresa – degenerava nel caos: chiacchiere, bisbiglii di sottofondo, bucce di mandarini o di frutta secca che venivano lanciate da giovani rubacuori verso le ragazze più carine. Il tutto scandito da frequenti spari, sia all’interno che all’esterno della chiesa, nonostante fosse severamente vietato.

Durante sa miss’è pudda, la leggenda narra che indispensabile fosse la presenza delle donne in gravidanza. Nel caso in cui il bambino, ancora nel grembo materno, avesse presentato eventuali cerebrolesioni o malformazioni, la messa avrebbe curato ogni problema. Questa notte di preghiera aveva infatti anche un forte potere esorcizzante, come si può intuire dal detto che, in merito alla “cura del feto malato”, dice che durante la messa “sa bestia si furrìada in cristianu”. Secondo la leggenda inoltre, le donne in stato di gravidanza che avessero scelto di non partecipare alla funzione religiosa, rischiavano seriamente di dare alla luce una creatura mostruosa: numerosi racconti in merito narrano di bambini nati con strane forme animalesche, che spesso assumevano i tratti di grandi uccelli neri.

Le future mamme che invece avessero rispettato, secondo la tradizione, i doveri di una buona religiosa, nel caso in cui avessero dato alla luce il bambino durante la notte di Natale, avrebbero avuto allora la fortuna di generare un bimbo “speciale”: si era infatti convinti che il neonato avrebbe protetto dalle disgrazie almeno sette case del vicinato, e che, lungo l’intero corso della sua esistenza, non avrebbe perso né denti né capelli. Inoltre, il bambino in questione, avrebbe mantenuto intatto il proprio corpo anche dopo il decesso, come recita il detto “chini nascidi sa nott’è xena non purdiada asut’e terra” (ovvero, chi nasce la notte della vigilia di natale non può marcire sotto terra).

La figura della donna, popola quindi le antiche leggende sarde riguardanti il Natale.

Tra le creature fantastiche più conosciute legate alla tradizione natalizia vi è Maria Puntaborru. Secondo antichi racconti, dopo la cena della vigilia di Natale, neanche una briciola di pane sarebbe dovuta rimanere sulla tavola a fine pasto, o sarebbe presto arrivata Maria.

In particolare nella zona del Campidano, questa figura era molto diffusa e faceva tremare di paura i bambini del tempo. La leggenda narra infatti che, nel caso in cui qualche alimento fosse stato lasciato sulla tavola, Maria, che la notte si aggirava sempre nelle case dei vivi, avrebbe punito i commensali infilzandogli lo stomaco con uno spiedo.

Infine, sempre la figura della donna vista come strega, capace di diabolici malefici ai danni degli altri, è la protagonista di una seconda, affascinante, credenza popolare. Precisamente nel periodo inquadrato fra il Natale e l’Epifania, a tutte quelle donne che recitavano i brebus e conoscevano l’arte della predizione, della cura, e della medicina contro il malocchio, spettava un importante compito: dovevano trasmettere in questo momento i propri segreti alle future praticanti.

Ma questa è tutta un’altra storia. Bona Paschixedda a tottus.

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C’era una volta Sa Notte ‘e Xena: la vigilia di Natale nella tradizione sarda.

C’era una volta “Sa Notte ‘e Xena”, la notte che dava il via ai festeggiamenti natalizi in Sardegna. Durante Sa Notte e Xena, in italiano la notte della cena e quindi della Vigilia di Natale, era tradizione riunirsi come nel presente intorno a un tavola imbandita di prelibatezze nostrane, brindando e mangiando in segno d’unione e gioia.

Ma la vera particolarità di questo giorno riguardava il focolare, infatti la tradizione vuole che, acceso un ceppo di legno nel caminetto della casa, venisse lasciato ardere per tutta la durata delle feste, fino all’Epifania. Il ceppo veniva chiamato “Su truncu de Xena” ed è proprio intorno al caminetto che si riunivano i familiari, sfruttando il calore emanato dal focolare sia durante la cena, sia quando, finito il pasto la serata veniva allietata da racconti di storie e favole o iniziavano i giochi tradizionali come “tòmbula”, “matzetu” e “su barrallicu”, la famosa trottola tradizionale sarda.

Arrivata la mezzanotte, si iniziavano ad udire le campane, che ad ogni rintocco chiamavano la popolazione in vista de “Sa Miss ‘e Pudda”, la Messa di Natale o letteralmente tradotta “Messa del primo canto del gallo”. Questa, era una messa particolare, di celebrazione e riflessione, allietata dai cori sardi natalizi, celebrata in chiese profumate d’incenso e illuminate dai ceri, che addobbavano la chiesa creando una meravigliosa atmosfera natalizia.

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«No, non si sta parlando di ominidi antecedenti alla comparsa di Homo sapiens o dei primi colonizzatori dell’Isola. I “primi sardi” erano dei piccoli anfibi dall’aspetto vagamente simile a quello delle odierne salamandre.»

A catapultarci in un mondo lontano e interessante è il paleontologo Daniel Zoboli, dell’Università di Cagliari.

Impronte fossili impresse da anfibi lepospondili del Carbonifero di Iglesias (Museo D. Lovisato di Cagliari).

«Dobbiamo tornare indietro nel tempo a circa 310 milioni di anni fa,» spiega Zoboli «nel periodo geologico chiamato Carbonifero (Pennsylvaniano), a quando cioè l’area dell’odierna Sardegna era parte integrante della paleo-europa e le masse continentali erano riunite nel supercontinente di Pangea.»

L’area sarda, racconta, in quel periodo era emersa dal mare a seguito dell’Orogenesi Varisica: «Nelle zone più depresse si estendevano piccoli laghi e aree acquitrinose. Ci trovavamo nella fascia equatoriale ed erano presenti estese foreste di felci arboree ed equiseti. Rocce e fossili che testimoniano questo antico passato affiorano oggi anche in Sardegna, nello specifico nel territorio di Iglesias. Qui sono stati ritrovati resti di piante, artropodi e le più antiche tracce di vertebrati terrestri.»

Impronte fossili impresse da anfibi temnospondili (icnospecie Batrachichnus salamandroides) del Carbonifero di Iglesias (Museo D. Lovisato di Cagliari).

Ricostruzioni ideali dei piccoli anfibi che lasciarono le loro impronte in Sardegna nel periodo Carbonifero.

«Queste ultime sono rappresentate da minuscole impronte che spesso non raggiungono il centimetro di lunghezza, impresse da anamnioti lepospondili e temnospondili» conclude. «Questi erano anfibi dal corpo lacertiforme che “passeggiavano” sulle sponde fangose di questi antichi laghetti del Carbonifero. Le impronte di vertebrati ritrovate in Sardegna sono le più antiche del territorio italiano e sono più vecchie di circa 10 milioni di anni rispetto a quelle ritrovate nelle Alpi Carniche (Friuli-Venezia Giulia).»

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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