Numerosi intellettuali, viaggiatori, scrittori, nel corso dei secoli hanno visitato la Sardegna. Chi più, chi meno, sono rimasti ammaliati dalla bellezza dei luoghi e delle tradizioni millenarie. C’è qualcuno, però, che questo fascino non l’ha subito e anzi non ha fatto mistero della propria delusione. Questo qualcuno si chiamava Honoré de Balzac, scrittore, drammaturgo, critico letterario francese noto in tutto il mondo per essere l’autore de “La commedia umana”.

Balzac era un vero e proprio spendaccione, tanto che, per ripagare i debiti ma anche per arricchirsi, pensò bene di recarsi in Sardegna per estrarre i giacimenti minerari abbandonati dagli antichi romani e dai sovrani medioevali. Era il 1838 e lo scrittore si imbarcò da Marsiglia alla volta dell’isola, convinto di riuscire a mettere le mani sulle ricchezze del sottosuolo sardo. Ma non gli andò proprio bene. Il primo intoppo fu il colera, che lo costrinse a rimanere a bordo della nave nella rada di Alghero.

In seguito riuscì a sbarcare a Porto Torres, il 12 aprile, e da qui tentò l’impresa di estrarre i giacimenti minerari della zona dell’Argentiera, in agro della Nurra. Non sapeva però che quello che credeva essere un amico fidato, un mercante genovese che gli aveva consigliato di venire nell’isola per questo scopo, lo tradì facendosi dare le concessioni prima dell’arrivo dello scrittore. Quest’ultimo comunque non volle demordere e ritentò con le miniere di Domusnovas. Anche qui fallì. Ripartì dal porto di Cagliari alla volta di Marsiglia. Fallirono così i suoi sogni di arricchirsi con le risorse naturali sarde. Ma invece di prendersela con il presunto amico, si scagliò contro la Sardegna e i sardi.

In un epistolario inviato alla sua amante e futura sposa, la contessa Eva Hanska, scrisse testuali parole: «L’Africa incomincia qui. Intravedo una popolazione cenciosa, completamente nuda, scura di pelle come fosse etiope. (Cagliari, 17 aprile). Ho girato tutta la Sardegna e ho visto cose come se ne raccontano degli Huroni e della Polinesia. Un regno interamente deserto, veri selvaggi, nessuna coltivazione, savane di palme selvatiche; dappertutto capre che brucano tutte le gemme ed hanno gli altri vegetali a portata di mano […] Da Sassari ho attraversato tutto l’interno della Sardegna. È dappertutto la stessa. C’è un borgo in cui gli abitanti fanno un orribile pane riducendo a farina le ghiande di quercia che mescolano con argilla, e questo a due passi dalla bella Italia. Uomini e donne stanno nudi, con un pezzo di tela, uno straccio attorcigliato, per coprire le parti intime. Il giorno di Pasqua, ho visto creature ammassate come gregge, al sole, lungo i muri di terra dei loro tuguri. Nessuna abitazione ha il camino, accendono il fuoco al centro dell’alloggio che è tappezzato di sego. Le donne passano la giornata a macinare, impastare il pane, e gli uomini badano alle capre e alle greggi, e il paese più fertile del mondo è una sodaglia, è tutto una sodaglia».

Parole dure che rispecchiavano solo la personale visione dello scrittore francese, non certamente quella della maggioranza dei viaggiatori stranieri dell’epoca, che invece tessero le lodi dell’isola. Balzac scrisse solo una nota positiva: «Al centro di una così profonda e incurabile miseria, ci sono villaggi con costumi di stupefacente ricchezza». Si pensa che lo scrittore francese si sia ispirato alle fatiche del suo viaggio in Sardegna quando scrisse la commedia teatrale “L’école des ménages”.

L’articolo Il celebre scrittore Honoré de Balzac disse dei sardi: “Una popolazione cenciosa, tutti nudi con un pezzo di tela” proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Powered by WPeMatico

Lo sapevate? Sa pompìa è un agrume che esiste solo in Sardegna.

Non è un limone, non è un pompelmo, non è un cedro. È sa pompìa, un frutto che esiste solo in Sardegna, per la precisione nei comuni di Siniscola, Posada, Torpè e Orosei. Una vera rarità, fino al 2015 non riconosciuto neanche dalla comunità scientifica, tanto da meritare il nome di “Citrus x monstruosa”, una sorta di limone mostruoso, buono come medicamento naturale, ma soprattutto per preparare gustosissimi dolci.

Sa pompìa appena colta dall’albero – foto di Grazia Cherchi

Bello di certo non è, fatto di una buccia rugosa e irregolare, ma c’è chi dice sia miracoloso. Una giovane start up sarda, la Phareco, con la pompìa ha brevettato un olio essenziale in grado, secondo i suoi sviluppatori, di curare infezioni dell’apparato genitale femminile, dell’apparato digestivo e di quello respiratorio. Ridotto a poche centinaia di piantagioni negli anni ’90 sa pompìa ha conosciuto una seconda vita quando si è deciso di impiantare nel territorio di Siniscola una piantagione estensiva di questo frutto per finalità sociali. Da allora si è fatta molta strada e nel 2004 è nato proprio a Siniscola il presidio slow food della pompìa.

Certo è che sa pompìa è molto buona, ma solo quando è cotta, cruda è immangiabile. Con questo agrume si usa fare un dolce tradizionale chiamato “sa pompìa intrea”. Le donne di Siniscola e dintorni custodiscono gelosamente la ricetta di questo dolce tipico, tanto che su Facebook è nato addirittura un gruppo denominato “Sa pompìa intrea”. Prodotti conosciuti sono anche la marmellata di pompìa, il liquore di pompìa e s’aranzata thinoscolesa, un dolce tipico dei matrimoni, fatto di scorza candita e mandorle.

Grazia Cherchi, di Siniscola, ha imparato la ricetta dalla suocera, proprietaria di uno dei primi terreni in cui era stata impiantata sa pompìa. Dopo avere raccolte i frutti a novembre prepara così sa pompìa intrea:

  • Pulire la scorza del frutto con un pelapatate, fare due buchi nella parte superiore e nella parte inferiore per privarlo della polpa interna così da lasciare la sola parte pianca esterna. La polpa si può riutilizzare per fare la marmellata.

  • Ciò che rimane del frutto va immerso in acqua bollente per 6/7 minuti, per poi essere scolato e lasciato ad asciugare su un canovaccio fino al giorno dopo.

  • Successivamente le pompìe vanno cotte in padella immerse nell’acqua con un chilo di zucchero e 600/700 grammi di miele (questo per 12/13 pompìe). Cuocere a fuoco molto basso e girarle di tanto in tanto per circa 6 ore. Una volta colorata a puntino sa pompìa è pronta per essere mangiata.

L’articolo Lo sapevate? C’è un agrume che esiste solo in Sardegna: ecco quale proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

Alcuni studiosi hanno affermato che i Nuragici conoscevano la scrittura prima che i Fenici giungessero nella nostra Isola. A sostenerlo G. Sanna e G.Atzori nel loro “Sardegna mediterranea”, dove riportano l’esistenza di documenti che lo provano e che risalgono ad un periodo che va dal XVI al X secolo A.C.

In particolare, i reperti a cui fanno riferimento e che testimoniano una “scrittura nuragica” sono i cocci di Orani (NU), le incisioni su dei frammenti di vaso a Nurri (CA), le incisioni su pietra a Macomer (NU), su una lamina d’oro a Santadi (CI), su un anello-sigillo a Cabras (OR) e cinque tavolette nel Sinis.

L’analisi di questa scrittura ha fatto pensare agli studiosi che fosse di derivazione orientale. Un alfabeto, o più alfabeti, messi comunque al servizio della religione e del culto dei morti.

Come spiega molto bene A.Caocci nel suo libro “La Sardegna”, anche se gli stessi studiosi ammettono che molti dati sono ancora in fase di approfondimento, si può ragionevolmente supporre che già a partire dal XIV secolo a.C i Nuragici usassero una loro forma di alfabeto, anche perchè tutti i sistemi sociali complessi ( e il loro lo era senza dubbio) che immagazzinano risorse e le commercializzano hanno bisogno di rendicontare le proprie produzioni e vendite. I nuragici, poi, lo ricordiamo, commerciavano con luoghi dove la scrittura era conosciuta da tempo come la Grecia.

 

 

L’articolo Alcuni studiosi affermano che i nuragici conoscessero la scrittura: ecco perchè proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

La natura rigogliosa è uno degli aspetti che più attira i turisti nella nostra Isola.

Ma qual è il borgo “più verde” della Sardegna?

Stando a quanto stilato dagli esperti del noto sito internet dedicato al turismo SiViaggia, il borgo più verde è quello di Tonara, in provincia di Nuoro.

Riportiamo una parte dell’articolo dedicato di recente al borgo nuorese: “Tonara è considerato il borgo più verde dalla Sardegna grazie alla posizione in cui si trova. Il Gennargentu, infatti, permette a questo splendido paese di essere circondato una lussureggiante distesa boschiva con castagni millenari, noccioli e noci. Per questo motivo, sono tantissimi gli itinerari che partono dal borgo e che portano alla scoperta della zona. Tragitti che si possono fare a piedi, in mountain bike e persino a cavallo”.

La dimostrazione, ancora una volta, del fatto che la Sardegna “non è solo mare”.

 

L’articolo Sapete dove si trova il “borgo più verde” della Sardegna? proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

«C’è chi vede la luce e diventa prete e c’è chi vede un film di Rocco Siffredi e si apre un Sexy Shop. Ed è più o meno andata così quando ho capito l’importanza di un’attività come la mia da dipendente, ancor prima di divenirne proprietario.»

Salvatore Monni, conosciuto anche per essere il Batman che regala sorrisi ai bimbi malati, ci racconta cosa vuol dire nel 2023 – epoca che si definisce moderna ma nella quale ancora il sesso e le varie pratiche attorno ad esso sono considerate tabù – gestire un sexy shop, a 23 anni dall’apertura. E lo fa con una chiarezza e una serenità uniche, che d’altronde ben si sposano con quello che è il sesso (tra persone maggiorenni e consenzienti, sia chiaro): un atto naturale, genuino, bello. Uno dei piaceri della vita.

«È a tutti gli effetti un lavoro socialmente utile: arrivi a questa consapevolezza quando ti rendi conto di quanto possa migliorare la vita delle persone. Mi è sempre piaciuta, infatti, l’idea di trovare un lavoro che contribuisse a cambiare le idee della gente, per rendere il mondo un posto più libero da pregiudizi: questa sfida si chiamava Porky’s. Mai nessun imbarazzo e mai nessuna vergogna, solo orgogliosamente al comando del mio negozio contro i preconcetti morali e culturali instillati dalla nascita.»

Eh sì, perché Monni dà un insegnamento importante: «Solo chi è libero mentalmente può dire di aver vissuto una vita soddisfacente sotto tutti i punti di vista.»

La sua missione? Dimostrare che questa realtà è normalità, senza se e senza ma.

«Un tempo l’opinione pubblica sui Sexy Shop era molto negativa, venivano descritti come luoghi moralmente discutibili e frequentati solo da persone con una sessualità distorta e, soprattutto, chi gestiva questi posti era considerato un pervertito. Ho sempre sorriso a certe denominazioni, insomma, non sono poi così pervertito» ride Monni. «In una piccola città come Cagliari poi, dove vigeva la mentalità provinciale, non era raro vedere determinate persone entrare di notte con gli occhiali da sole ed il cappello in testa per sentirsi irriconoscibili.»

Insomma, sì all’entrata in negozio e all’acquisto, no al riconoscimento, che poi era – ed è, in alcuni casi – la regola d’oro: fai quel che ti pare, ma non farti riconoscere.

«È insano!” “È peccato!” “Vergogna!” gridavano i conservatori e i puritani con la convinzione che un’assoluzione la domenica nel confessionale di una chiesa avrebbe lavato via i loro di peccati» scherza Monni. «Tuttavia, negli ultimi decenni, l’atteggiamento generale verso i Sexy Shop è inesorabilmente cambiato, c’è una maggior accettazione e normalizzazione della propria sessualità. Complici l’evoluzione e l’apertura mentale globale che finalmente hanno reso questo mondo più normale.»

E, dice il gestore del sexy shop cagliaritano, è cambiata anche la clientela.

«Se un tempo era tipicamente maschile, ora anche la percentuale femminile è uguale, mentre la tendenza di frequentazione delle coppie sta aumentando sempre più.»

Ma non solo: «Finalmente se ne riconoscono il valore ed i benefici, in primis quello di esplorare la propria sessualità in modo consapevole e sano. Ne è testimone Alessia (tutti i nomi sono di fantasia), 20 anni, la cui Psicanalista ha consigliato il tanto controverso vibratore per abbattere quel blocco mentale che non le permetteva di vivere completamente i rapporti sessuali con il suo fidanzato. Oppure Guido, 71 anni ed un’operazione alla prostata: su indicazione del suo Urologo acquista una pompa a vuoto per una disfunzione erettile legata all’intervento. E ancora Barbara, 40 anni e 2 figli. La sua ginecologa le suggerisce le palline di Kegel per esercizi mirati al pavimento pelvico. Nomi di fantasia, sì, ma fatti realmente accaduti che fanno capire il valore, riconosciuto anche dai medici, di un sex toy.»

Ma, per quanto sulla strada giusta – e nonostante i comprovati benefici psicofisici dei sex toys –, non siamo ancora salvi: «I retaggi culturali si annidano ancora nella mente e nei comportamenti di alcune persone per le quali entrare in un Sexy Shop è ancora un peccato… ma il vero peccato è non entrare in un Sexy Shop. Un luogo dove sentirsi liberi dai giudizi della gente, sentirsi sé stessi liberamente, acquistare in maniera sicura prodotti certificati e controllati, essere consigliati da professionisti e molto altro.»

Non è un lavoro semplice, dice Monni: «Bisogna saper ascoltare, comprendere, empatizzare e avere grande sensibilità. Sento la responsabilità di contribuire in maniera efficace all’esigenza del cliente, qualunque essa sia, perché la soddisfazione del cliente è principalmente la mia. Un acquisto di un Gadget per un compleanno si tramuterà in un momento carico di goliardia tra amici. Oppure l’acquisto di un completo intimo darà vita ad una serata seducente in compagnia del partner, la scelta di un Sex Toy porterà ad un’intrigante istante di complicità.»

Insomma, continua Monni, guai a chiamarli oggetti, perché racchiudono al proprio interno molto di più: «Sensazioni, intense emozioni, attimi di sentimento che fanno parte della vita, che la rendono più bella, libera, entusiasmante. In ogni articolo c’è una parte di me che vivrà il momento per cui è stato acquistato. “Il sesso è una cosa molto bella tra due persone, in cinque è fantastica!” diceva Woody Allen, quindi il mio consiglio è quello di vivere la propria vita sessuale e mentale liberamente.»

«Sperimentare sempre, prima di poter dire che non fa per noi» chiude. «Osare per conoscere e superare i propri limiti. Godere intensamente quei momenti che solo un sex toys ti può dare. Tutto questo è un sexy shop per cui l’unica domanda che si dovrebbe fare a sé stessi è: “Perché no?”»

L’articolo «Sex toys? Non sono solo oggetti»: Salvatore Monni ci apre le porte del suo sexy shop proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

Roberto Benigni è da sempre molto legato alla Sardegna.

Quasi tutti sanno della sua bellissima casa all’isola di Santa Maria, nell’arcipelago de La Maddalena. Non tutti conoscono invece quello che fu il suo primo film ambientato in Sardegna.

Correva l’anno 1979 e il giovane Roberto Benigni fu scelto dal regista Marco Ferreri per il ruolo di protagonista di “Chiedo Asilo”, un film impegnato girato per metà a Bologna e per metà proprio in Sardegna.

Il film racconta la storia di Roberto, uno dei primi maestri di scuola dell’infanzia. Innamoratosi della mamma di un alunno, Isabella, Roberto la segue nell’Isola, all’Argentiera, dove la donna possiede un cinema dismesso.

Gli scenari suggestivi della Sardegna nordoccidentale aiutarono il film ad avere un riconoscimento molto importante da parte della critica. Il sigillo della qualità del film arrivò dal Festival di Berlino, che insignì l’opera con l’Orso d’argento, gran premio della giuria.

L’articolo Lo sapevate? Nel 1979 Roberto Benigni fu protagonista di un bellissimo film girato in Sardegna proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

Avete presente quando si dice che l’altruismo e la dolcezza dei bambini non hanno eguali? Ah, e avete presente anche quando si dice che il legame tra fratelli potrà sì, talvolta, essere burrascoso ma è “per tutta la vita”? Insomma, una sorta di marchio di fabbrica, di bollino, che lega. Per tutta la vita? Non sempre, ma spesso, molto spesso, sì. Be’, del resto si condividono gli stessi geni, certe volte le stesse paure, certamente le stesse sensazioni di unione.

E la storia dei villanovesi Matteo Cocco, all’epoca bambino, e della sorella Ilenia, più grande di poco, è la prova di entrambe le cose. È il dicembre del 2003 quando Ilenia si ammala. Nel 2004, all’inizio, arriva la diagnosi: Linfoma non-Hodgkin. All’epoca, l’adesso 33enne, è una ragazzina ma suo fratello è ancor più piccino di lei. Dopo un lungo ciclo di chemio, una recidiva: è allora che Matteo smette di essere un bambino di dieci, undici anni, e diventa l’eroe della sorella, colui che le salverà la vita. A Ilenia serve un trapianto di Midollo Osseo, questa è l’unica strada.

«Avevo undici anni quando tutto è successo» racconta Matteo Cocco. «Ed ero troppo piccolo per capire che cosa fosse la malattia che aveva colpito mia sorella, ma quello che capivo perfettamente era che le procurava una grande sofferenza. Dopo qualche tempo, mi fu detto che proprio io avrei potuto aiutarla a guarire donandole il mio midollo.»

Troppo piccolo per comprendere una cosa così grande, spera solo che questo possa lenire il dolore di una sorella che ama tanto e che vuole vedere felice.

«In un primo momento furono i miei genitori a spiegarmi in modo molto semplice come avrei potuto aiutare Ilenia e successivamente toccò ai medici illustrarmi in che modo sarebbe avvenuta la procedura.»

Matteo è piccolo, e spaventato, anche: sa però che serve tutto il suo coraggio per salvare Ilenia.

«Ero l’unico compatibile ed ero l’unico che poteva darle una nuova speranza. Mostrai il pugno duro non da bambino, ma già da adulto, e decisi di accettare. Ero molto preoccupato, non potevo più sopportare di vedere mia sorella che passava le sue giornate in un letto di ospedale a soffrire, pensando che potessi perderla. Allo stesso tempo andavo fiero della possibilità che fossi proprio io a poterle restituire la vita.»

Inizia così la preparazione per la donazione del midollo.

«Mi fecero numerosi controlli e mi prelevarono 3 sacche di sangue da 180/200 ml di sangue in due settimane circa, da conservare e da utilizzare durante l’intervento di prelievo di midollo nel caso mi fosse servito. Per potermi prelevare tre sacche di sangue a distanza di così poco tempo, essendo un bambino, dovevo assumere del ferro in compresse per non debilitarmi.»

A incoraggiarlo e a infondergli fiducia, la stessa equipe che ha in cura Ilenia: «Erano persone molto preparate, ma allo stesso tempo molto umane, che mi aiutarono molto anche con dei regali. Ricordo che mi vennero donate delle macchinine d’epoca, che io adoravo, e tanti altri giochi che gradii tantissimo. Una dottoressa mi spiegò in modo scientifico, ma con termini molto semplici adatti ad un bambino della mia età, come sarebbe avvenuta la donazione, e in che modo il mio midollo avrebbe potuto aiutare Ilenia. Mi accompagnò in una stanza e vidi il freezer in cui veniva conservato il midollo a -200°.»

Nel periodo della preparazione, Matteo e Ilenia trascorrono insieme tanto tempo: sanno che poi, a intervento avvenuto, i contatti saranno ridotti. Il corpo di Ilenia sarà senza difese e lei dovrà trascorrere tanto tempo in isolamento.

«Il 22 aprile 2005, il giorno del prelievo, mio padre mi accompagnò all’ospedale oncologico di Cagliari. La tensione era alle stelle, ma essendo piccolo e determinato non pensai ai rischi futuri. Lui mi rassicurò molto, rimase costantemente al mio fianco e mi diede la forza per iniziare l’intervento.»

Matteo arriva al nosocomio e trova, ad attenderlo, tutta l’equipe dei medici che lo accolgono con grande dolcezza.

«Eseguirono la preparazione per portarmi in sala operatoria, mi fecero sdraiare nel lettino e mi misero una flebo per l’anestesia totale. Poiché ero molto in tensione, mi rassicuravano continuamente. Passai quattro ore in sala operatoria in anestesia totale e, subito dopo l’intervento, dopo che mi risvegliai, inizialmente non provai nessun dolore, ma dopo qualche ora sentii un leggero fastidio che durò una giornata circa. Tutto molto sopportabile» racconta, sereno ma emozionato.

«I miei sentimenti ad intervento concluso erano completamente cambiati; ero felicissimo di aver compiuto un tale gesto che ricorderò per tutta la mia vita, aver ridato la vita a mia sorella per mano mia. Un miracolo riuscito grazie al mio coraggio e all’amore che nutrivo e che nutro per mia lei. Seppi successivamente che la sacca con il mio midollo fu portata nella stanza di Ilenia e che era iniziata l’infusione. Da quel momento iniziai a sperare con tutte le mie forze che andasse tutto bene.»

Ora c’è solo da aspettare e sia Matteo che Ilenia lo fanno con un sentimento nuovo, con il cuore pieno d’amore.

«Trascorsi un po’ di tempo senza vedere Ilenia, ma ci sentivamo per telefono e mi aggiornava costantemente sul suo stato di salute. Talvolta mi recavo nel cortile antistante l’ospedale e lei, dalla finestra della sua camera, mi salutava. Erano momenti molto emozionanti, non vedevamo l’ora di riabbracciarci. Nel frattempo, cercavamo di mantenere costantemente i pensieri positivi, ero fiducioso nel pensiero che il midollo facesse il suo effetto.»

Poi, mentre Matteo è a Villanova – all’epoca frequenta la quinta elementare –, arriva dalla mamma, a Cagliari con Ilenia, una chiamata inaspettata.

«Mi comunicò che i medici avevano dato l’autorizzazione per andare a trovare mia sorella. Quindi il giorno dopo aver ricevuto questa notizia partii per Cagliari e mi recai all’ospedale Microcitemico. Non vedevo l’ora di rivederla.  Mi permisero di entrare nel reparto, la abbracciai subito, furono momenti di grande felicità. Rimasi a parlare con lei finché me lo permisero i medici. Ilenia mi guardava con gli occhi di chi ha davanti il suo salvatore. Allora, con l’ingenuità dei miei undici anni, mi sentivo un super eroe e oggi mi sento onorato per aver avuto il coraggio di compiere un gesto così importante.»

Il rapporto con Ilenia si rafforza sempre più: ormai sono uniti da un gesto che ha fatto la differenza tra la vita e la morte.

«Con questo racconto voglio testimoniare la mia esperienza e incoraggiare le persone a donare il midollo, nonostante possa sembrare una cosa da temere. Voglio rassicurarvi: non si rischia niente, anzi, dopo che lo avrete donato vi sentirete persone migliori, i bei gesti ritornano sempre indietro.»

Poi, per convincere qualcuno a iscriversi per poter salvare la vita alle altre persone, Matto spiega meglio di cosa si tratta.

«Il midollo osseo è un tessuto semiliquido situato negli spazi interni delle ossa del corpo, soprattutto nelle ossa piatte. Esso contiene al suo interno le cellule staminali emopoietiche (CSE), il prelievo avviene in un centro autorizzato, in anestesia generale (sedazione profonda) o epidurale e dura circa 45-60min. Il midollo viene prelevato in maniera diretta dalle ossa del bacino (Creste iliache posteriori) con l’aiuto di una siringa munita di ago. La quantità di sangue midollare che viene prelevata varia in funzione del peso del ricevente (0,7-1litro) ovviamente senza poter mai superare una dose di sicurezza determinata dal peso del donatore. Dopo il prelievo il donatore è tenuto normalmente sotto controllo per circa 24-36 ore prima di essere dimesso. Si consiglia successivamente un periodo di riposo precauzionale di 4-5 giorni. Il midollo osseo prelevato si ricostruisce spontaneamente in 7-10 giorni. Alla banca del midollo ci si può iscrivere dai 18 fino ai 35 anni, ma si può donare anche oltre questi anni.»

Riuscire a salvare una vita: non è qualcosa di magico, bellissimo e importante insieme?

E non dà una grande sensazione di “cosa giusta da fare”?

La storia di Matteo e Ilenia insegna che il bene che si fa rafforza se stessi, oltre che donare una speranza a un’altra persona. Ah, e insegna anche che il coraggio è quello che ti fa tremare le ginocchia ma che poi ti fa agire nel verso giusto. Sempre.

L’articolo Ha 11 anni quando salva la sorella dal tumore donando il suo midollo: la storia di Matteo e Ilenia proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

Powered by WPeMatico

Lo sapevate? In Sardegna esistono 36 specie animali rarissime.

Sono numerose le specie animali, tra mammiferi, molluschi, anfibi, rapaci, insetti, splendide farfalle e aracnidi, che vivono soltanto in Sardegna (o al al limite in Corsica, nell’arcipelago dell’Isola d’Elba e in pochissime altre zone del Mediterraneo). Scopriamo quali sono e di che cosa si tratta.

Alcune di queste specie sono famose, come i cavallini della Giara, gli asini albini dell’Asinara, i mufloni e il cervo sardo, tante altre invece sono poco conosciute.

Ecco l’elenco completo: sono l’orecchione sardo (un pipistrello della famiglia dei Vespertilionidi endemico della Sardegna), il ragno nuragico (il ragno botola nuragico, Amblyocarenum nuragicus Decae è un ragno della famiglia Nemesiidae, endemico della Sardegna, la cui scoperta è stata annunciata nel 2014), il panfago sardo (una grossa cavalletta endemica esclusiva della Sardegna, dal corpo massiccio, dall’aspetto poco agile e pesante), la cicindela di Carloforte (Cicindela capestris saphyrina un piccolo coleottero di un colore blu elettrico con piccole macule di giallo sbiadito, unico al mondo), l’astore sardo (un uccello rapace della famiglia Accipitridae, endemico della Sardegna e della Corsica), l’algiroide nano (l’algiroide nano o algiroide di Fitzinger è un rettile della famiglia Lacertidae, diffuso in Sardegna e Corsica), la zygaena orana sardoa (un lepidottero eteroneuro appartenente alla famiglia Zygaenidae, falena diurna), il cervo sardo (mammifero ruminante dell’ordine degli Artiodattili), la formicaleone (i Mirmeleontidi, generalmente noti come formicaleoni, sono una famiglia di insetti appartenenti all’ordine dei neurotteri), la Vanessa sarda (una specie di farfalla endemica della Sardegna e della Corsica), la lucertola di Bedriaga (un rettile della famiglia Lacertidae; è l’unica specie del genere Archaeolacerta ed è un endemismo sardo-corso; l’epiteto specifico è un omaggio al nome dell’erpetologo russo Jacques von Bedriaga), il Calicnemi Sardiniensis (un coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi), il famoso cavallino della Giara e il cinghiale sardo, la Tropinota paulae (altro coleottero appartenente alla famiglia degli Scarabeidi).

Lo Spermophorides Baunei (un tipo di ragno), la volpe sarda, il gatto selvatico sardo, il geotritone del Monte Albo , il Geotritone del Supramonte, il Geotritone dell’Iglesiente (o di Genè), il geotritone imperiale, questi ultimi tutti anfibi, la raganella sarda (altro anfibio, questo dell’ordine degli Anuri), l’asino dell’Asinara, Discoglossus sardus (un rospo, un anfibio anuro della famiglia Alytidae, presente in Sardegna, in Corsica, nell’Arcipelago Toscano e in alcune isole minori), la lepre sarda, Melolontha Sardiniensis (un coleottero appartenente alla famiglia degli scarabaeidae).

Il muflone europeo, Netocia sardea (altro coleottero della famiglia degli scarabaeidae), Podarcis tiliguerta (la lucertola tirrenica o tiliguerta, un rettile della famiglia Lacertidae), il geotritone imperiale del Sarrabus, altro anfibio, la mantide di Galvagni (insetto mantoideo della famiglia Mantidae, endemico della Sardegna), il satiro dei nuraghi (una farfalla di piccole dimensioni, con un’apertura alare di circa 30-45 millimetri, dal colore marrone e arancio, con una macchia scura, ocello, vicino all’apice anteriore, si trova solo in Sardegna nei massicci dei Sette Fratelli, del Gennargentu e del Limbàra).

Lo splendido sparviero sardo (un uccello rapace della famiglia Accipitridae, endemico della Sardegna e della Corsica), il tritone sardo, altro anfibio, e la marmorana serpentina (un mollusco gasteropode terrestre della famiglia Helicidae, endemico della Sardegna e della Corsica).

L’articolo Lo sapevate? In Sardegna ci sono 36 specie animali rarissime: ecco quali proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Mario Marcis

Powered by WPeMatico

Le coste della Sardegna tra XVI e la fine del XIX secolo subirono continue incursioni e saccheggi da parte dei corsari barbareschi.

Continue razzie influirono notevolmente sull’economia e sulla vita delle popolazioni delle zone vicine al mare – ma anche di quelle dell’entroterra – con i sardi letteralmente atterriti dai “Mori”, tanto che alcune zone hanno preso il nome da vicende legate avvenute in tale periodo storico.

Sono diverse i racconti e gli aneddoti giunti fino a noi, come quello raccontato nel libro “Corsari e pirati nel mare d’Ogliastra” dello scrittore Ivan Marongiu.

L’autore riporta la storia rimasta viva nella memoria della comunità di Tortolì fino a qualche decennio fa, narrata da “tziu” Francesco Piras, classe 1920. In questo racconto popolare il protagonista assume connotati quasi eroici, quasi un “antidoto” per alleviare la dura realtà dell’epoca, dove era palese l’indifferenza delle autorità prima spagnole e poi piemontesi nel difendere la Costa Orientale dell’Isola.

Narra di un uomo, che un giorno si recò ad arare il suo terreno nelle campagne tortoliesi. Mentre era intento a governare il giogo dei buoi che trainavano l’aratro, fu sorpreso e accerchiato da un gruppo di Mori sbarcati nella spiaggia di “Foxi de Lione”, nei pressi di “Muscì” – zona oggi conosciuta come il Golfetto -.

Gli otto saraceni avevano come obiettivo di sequestrare l’uomo e caricarlo insieme ai suoi buoi sulla loro nave. Il contadino vedendosi preclusa ogni via di fuga, non si arrese e decise di affrontare gli stranieri. Così sfruttando la propria mole fisica, staccò dall’aratro ligneo il vomero di metallo e utilizzandola come arma si scagliò con forza e grande agilità contro i pirati.

L’azione fulminea dell’uomo colse di sorpresa i Mori, tanto che quattro di questi stramazzarono a terra morti mentre gli altri atterriti fuggirono verso l’imbarcazione per scampare alla furia cieca del tortoliese.

 

 

 

 

L’articolo Racconti ogliastrini. Tortolì, la vicenda dell’uomo che arava e sfuggì al rapimento dei Mori proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Maria Luisa Porcella Ciusa

Powered by WPeMatico

Gli artificieri del Comando Provinciale Carabinieri di Cagliari sono intervenuti oggi a Sarroch chiamati da un cittadino a seguito di un particolare rinvenimento.

artificieri

L’uomo ha ereditato un immobile ma al suo interno vi ha trovato una bomba a mano Breda 35, vuota e completamente inerte e una bomba da mortaio Brixia 35 da guerra, ancora attiva e dotata delle sicurezze maneggio e trasporto. L’analisi RX non ha permesso di appurare l’effettiva presenza o meno di carica esplosiva interna.

Il materiale è stato fatto brillare con l’autorizzazione della Prefettura e dell’autorità giudiziaria.

 

L’articolo Sardegna: eredita una casa ma dentro trova una bomba a mano e una da mortaio proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Maria Luisa Porcella Ciusa

Powered by WPeMatico

Locanda degli artisti



Seguici su Facebook

Copyright 2019 Locanda degli Artisti| Amll Rights Reserved | codice iun E8205 | Powered by Apioraggio | Condizioni di prenotazione

× Posso aiutarti?