Mal di testa, spossatezza, dolori, insonnia: mali del corpo e dello spirito che possono colpire tutti, indistintamente, almeno una volta nell’arco della vita. Malesseri e disturbi psico-fisici che, nella Sardegna antica, erano imputati alle energie negative, trasmesse attraverso un semplice sguardo – il cosiddetto “occhio cattivo” – portatore, spesso inconsapevole, del malocchio. Tali mali si risolvevano con delle preghiere, “is brebus”, recitate sottovoce, davanti ad un bicchiere di vetro in cui si versavano acqua, sale e chicchi di grano.

Un rituale di purificazione, dai contorni magici – terapeutici, espressione della medicina popolare che, in Sardegna, costituì una vera e propria barriera alle scienze farmaceutiche ufficiali e che era conosciuta come “sa mexina de s’ogu”, la medicina dell’occhio. Diffusa da tempo immemorabile in tutte le aree dell’Isola, “sa mexina de s’ogu” è una pratica che accarezza il mondo della magia popolare, il cui scopo è quello di levare il malocchio, quell’influsso negativo che può essere attaccato con uno sguardo da chiunque a chiunque: una cura praticata da persone speciali, i guaritori, che si apprende per discendenza familiare o per insegnamento diretto da altri guaritori.

Superstizione, magia, fede o assenza di logica? “Sa mexina de s’ogu” è una pratica che ancora oggi sopravvive, richiesta e praticata con una frequenza sorprendente: si stima che nell’Isola ci siano oltre 500 guaritori, ricercati appunto per la loro capacità di levare il malocchio. Scettici o no, si tratta di un rituale certamente affascinante che incuriosisce anche chi, al solo pensiero di amuleti, “pozioni” e preghiere particolari, storce il naso. Un rituale che, a prescindere, esige rispetto e cautela, sia da chi lo pratica sia da chi lo richiede, e al quale occorre avvicinarsi con gli strumenti della logica. Questo è il principale messaggio di Clara, una giovane guaritrice che opera nel Cagliaritano: noi l’abbiamo incontrata per scoprire qualcosa in più su questa pratica senza tempo.

La medicina dell’occhio in Sardegna – Fonte www.naturopatiasardegna.blogspot.com

Rito terapeutico di purificazione, frutto della superstizione, rituale magico. Che cosa è realmente la medicina dell’occhio?

È un rituale che ha a che fare con l’antico, ma ce ne sono di due tipi: la medicina dell’occhio classica e quella sarda che è completamente diversa. La medicina dell’occhio classica si trova anche in altri posti e si fa con un piatto in porcellana in cui si versano dell’acqua, del sale e dell’olio e, a seconda delle forme che tali elementi assumono, si capisce se una persona ha negatività o no. Quella sarda, invece, è concentrata non solo sulla negatività, ma anche sui dolori fisici, in particolare sul mal di testa: nell’antichità si diceva che una persona con il mal di testa era “presa d’occhio”.

In che cosa consiste il malocchio e da dove viene?

Il malocchio proviene dalla paura di avere a che fare con l’invidia: i sardi hanno il tarlo dell’invidia, chi più, chi meno. “Sa mexina de s’ogu” nasce proprio da questo: per esempio, si credeva che i bambini molto piccoli, quelli molto belli, venivano “presi d’occhio” e, quindi, piangevano sempre per quello. Il malocchio parte dall’invidia, poi, mettiamoci dentro molta superstizione e anche il fatto che all’epoca molti disturbi psicosomatici, come ad esempio lo stress, non si conoscevano. Prima di parlare di malocchio c’è da fare un’indagine ben precisa: a chi si rivolge a me chiedo che tipo di vita sta conducendo, se sta mangiando bene, se sta mangiando male, etc.. La prima prassi è sempre quella della logica, anche perché la superstizione ci fa travisare le cose. Oggi, rispetto all’antichità, c’è una differenza di fondo, ovvero che le persone sono più portate, una volta che le si fa ragionare e riflettere, a pensare che non sono “prese d’occhio”, ma che ci sono delle motivazioni psicologiche e psicofisiche che influenzano un mal di testa o un mal di schiena.

Si dice che il malocchio possa essere trasmesso da chiunque a chiunque, è davvero così?

In antichità si credeva che chi poteva trasmettere con più facilità il malocchio fossero le persone affette da strabismo. In realtà, nessuno di noi nasce con la capacità di attaccare il malocchio, ma ognuno di noi ha la potenzialità di essere invidioso: un’energia negativa che proviene dall’invidia e che si trasmette con lo sguardo.

Quali sono i sintomi di una persona colpita dal malocchio?

Principalmente mal di testa e un generale malessere psicofisico.

Il malocchio in Sardegna – Fonte www.naturopatiasardegna.blogspot.com

Chi è il guaritore e come si apprende questa pratica?

Chi fa la medicina dell’occhio è un sensitivo, perché tutta questa negatività che tu togli, devi poi essere anche in grado di scaricarla. Un sensitivo è una persona con delle caratteristiche emotive e sensibili diverse, possiamo dire “una persona particolarmente empatica”. La pratica si apprende per discendenza familiare o perché viene tramandata da un altro guaritore. Io ho imparato a fare la medicina dell’occhio perché una persona che la faceva da circa quarant’anni non aveva più la forza energetica di reggerla e quindi me l’ha tramandata.

Quali sono, se ci sono, le regole che un guaritore deve seguire e qual è l’approccio?

Le regole variano da guaritore a guaritore perché è come andare dal medico: lei chiede un consiglio al medico e ogni medico le darà un consiglio diverso. Certo, quando si ha a che fare con queste pratiche, bisogna sempre avere un atteggiamento di sensibilità e di delicatezza nei confronti delle persone che le richiedono, perché sono in uno stato emotivo agitato. L’approccio è quello della sensatezza: il guaritore deve essere una persona equilibrata e non vedere negatività o invidia ovunque, ma deve essere cosciente del fatto che su cento persone che si rivolgono a lui solo cinque o sei sono “prese d’occhio”, mentre tutto il resto è stress, malumore, mangiare male, altre cose. E poi la persona che la pratica deve essere in grado di scaricare questa negatività: ogni guaritore ha i propri sistemi.

Chi si rivolge a lei e perché? Si tratta di persone che si trovano in una condizione particolare?

No. Semplicemente è una condizione dell’essere umano: non analizzare se stessi è un problema dell’essere umano ed è sempre più facile dare la colpa a fattori esterni. Nell’80 percento delle volte, le persone che si rivolgono a me sono convinte di avere il malocchio, in realtà non hanno nulla.

E se, invece, dovessimo stilare un identikit, sesso ed età?

Sicuramente più le donne che uomini, perché gli uomini hanno paura di queste cose e le donne sono anche più predisposte, probabilmente lo abbiamo nel dna, perché comunque è un mondo prettamente femminile, siamo meno controllate dagli ormoni e abbiamo una forma di lucidità maggiore degli uomini e in queste cose bisogna avere una forma di controllo e di obiettività molto alta, altrimenti si sfocia in una condizione di isterismo. L’età è indifferente, dai sedici anni agli ottanta.

La medicina dell’occhio classica – Foto Web

In che cosa consiste il rito de “sa mexina de s’ogu” e quali sono gli elementi utilizzati?

Si tratta di un rito complesso che non tutti sanno fare e che non a tutti viene tramandato. Differentemente da quello classico, in cui si utilizzano il piatto fondo in porcellana, l’acqua, il sale e l’olio, per il rituale de “sa mexina de s’ogu” si prende un bicchiere di vetro trasparente, lo si riempie d’acqua e ci si mettono un paio di granuli di sale grosso. Poi, si versano dei chicchi di grano e, a seconda di quante bolle si formano o di come il grano sale a galla, ci si rende conto se la persona è presa d’occhio o no. Ogni chicco, inoltre, va messo con una ritualità particolare, scandita da alcune preghiere in dialetto sardo che il guaritore sussurra leggermente, perché la persona le deve percepire ma non capire. Si tratta di nove frasi di preghiera, o meglio di supplica, rivolte ad alcuni arcangeli e all’Immacolata. Assemblato il tutto, la persona colpita dal malocchio deve bere tre piccoli sorsi di questa mistura (giusto un bagnarsi le labbra). Dopodiché il guaritore recita un’ennesima preghiera e, successivamente, il contenuto del bicchiere dovrà essere gettato o in un luogo con terra, oppure in un luogo in cui di fronte ci sia una finestra.

Gli elementi de sa mexina de s’ogu – Fonte www.sardignatour.com

Perché vengono utilizzati proprio questi elementi, qual è il loro significato?

L’acqua rappresenta la purezza, il vetro la chiarezza, mentre il grano rappresenta il cibo, di conseguenza il nutrimento e la forza. Il sale, invece, rappresenta la purificazione, tutto ciò che può assorbire. Ricordiamoci che si tratta di un rito antichissimo e dentro c’è una simbologia quasi pagana.

Il rituale ha un effetto immediato, o deve essere ripetuto?

A seconda di quanta negatività ha la persona colpita, può essere ripetuto per tre giorni consecutivi, però massimo ogni sei mesi, perché la prassi è che questo tipo di cura scarichi la persona e, di conseguenza, si ha bisogno di tempo per riprendersi.

Nessuna formula magica e nessuna pozione. Allora perché questo rito è considerato quasi magico?

Perché lo pratica un sensitivo che ha il dono di eliminare la negatività tramite il rito: è il guaritore che ha il potere tramite il rito, non viceversa.

Antichi rimedi contro il malocchio – Fonte www.naturopatiasardegna.blogspot.com

Consigli per chi decide di affidarsi per la prima volta a questa pratica.

Usare la logica. Innanzitutto, occorre fare un ragionamento di logica e, prima di pensare di essere colpiti dal malocchio, considerare altri fatti: magari si sta passando un periodo di stress, o un periodo in cui si hanno particolari problemi alimentari o con il proprio partner. Inoltre, ricordarsi che la medicina dell’occhio è gratuita e nessuno la deve far pagare: il guaritore serio non si deve far pagare, neanche attraverso un’offerta. Altro consiglio è di stare attenti, di guardare in faccia il guaritore e rendersi conto che chi ha il dono di aiutare gli altri deve essere una persona equilibrata, non una persona che deve essere aiutata a sua volta, perché per dare equilibrio, bisogna avere equilibrio.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Lo sapevate? La Grotta di San Giovanni a Domusnovas, è la cavità naturale transitabile su strada più grande del mondo.

Si trova nella Sardegna sud-occidentale nel comune di Domusnovas, un paese nel territorio del Sulcis-Iglesiente.

Si tratta di una una cavità carsica ed è una delle gallerie naturali più lunghe d’Europa. Sarebbe interamente percorribile su strada, un percorso asfaltato lungo ben 850 metri, voluto nel XIX secolo da un nobile che volle agevolare in tal modo il trasporto di materiale dalla vicina miniera di Sa Duchessa. Attualmente (e fortunatamente) la grotta non è più attraversabile con mezzi a motore. All’interno sono presenti delle bellissime concrezioni.

Di grotte simili ne esistono solo altre due in tutto il Mondo: una in Francia (la Grotte du Mas-d’Azil, nei Pirenei) e una in Australia (nel Grand Arch delle Jenolan Caves, a Oberon). La strada non è più aperta alle auto da quando, con provvedimento dell’Assessorato alla Difesa dell’Ambiente della Regione Autonoma della Sardegna, è stata riconosciuta monumento naturale e come tale sottoposta a vincolo per salvaguardarne l’ambiente e le concrezioni.

Attualmente è percorribile a piedi, grazie ad un moderno impianto di illuminazione, e attraversarla rimane un’esperienza indimenticabile, così come ricercatissime da arrampicatori sportivi provenienti da tutto il mondo sono le spettacolari pareti rocciose (tra le più dure al mondo, con alcune tra le vie più difficili) che ne sovrastano i due ingressi. Oltre alla cavità attraversata dalla strada, la grotta ha infatti altre diramazioni, accessibili solo agli speleologi, con gallerie, cunicoli, laghetti sotterranei e sifoni.

Il percorso praticabile dai visitatori inizia e finisce con due ingressi naturali monumentali (quello sud, per chi proviene dal paese, e quello nord che si affaccia sulla Valle di Oridda), accessi che nell’antichità erano fortificati da possenti mura preistoriche purtroppo demolite nell’800 in occasione della costruzione della strada (oggi ne sono visibili solo i resti). La Grotta di San Giovanni non è l’unica cavità naturale della zona: molto suggestive sono anche l’Abisso Paradiso e la Voragine della Rana, ben note agli speleologi.

Il nome le deriva dall’antica presenza al suo interno di una cappella medievale dedicata a San Giovanni, demolita per permettere il passaggio della strada.

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Il parco archeologico e botanico de “Su Motti” si trova a Orroli, piccolo paese del Sarcidano, ed è facilmente raggiungibile passando per la strada panoramica che costeggia il centro abitato. È conosciuto per le sue domus di Janas e le tombe preistoriche scavate nella roccia, ma anche per la presenza di una fitta macchia mediterranea.

Tante antiche leggende prendono vita in quest’atmosfera suggestiva, così da renderla ancora più affascinante. Tuttavia, non tutti sanno che direttamente all’ingresso del parco si può osservare un’altra presenza misteriosa: una roccia somigliante alla testa di un gorilla o di una grande scimmia.

Nonostante non abbia mai acquisito questo nome ufficialmente, gli abitanti della zona l’hanno rinominata “la testa del gorilla” e continuano a tramandare questo nome anche alle nuove generazioni.

Articolo di Sara Sirigu

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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Sardegna terra di longevità.

Oggi gli auguri più belli son tutti per Tziu Giovanni Bullita di Sestu che festeggia la bellezza di 102 anni.

Ringraziamo Pierino Vargiu per le informazioni e la foto.

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Fonte: Ogliastra News Maria Luisa Porcella Ciusa

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Il complesso archeologico di S’arcu ‘e is Forros sarà visitabile per le giornate FAI di primavera, sabato 25 e domenica 26 marzo. Il sito sorge in territorio di Villagrande Strisaili alle porte dell’Ogliastra lungo la strada che la collega alla Barbagia, in un vasto territorio indicato in cartografia con il toponimo “Inter Abbas” per la presenza del Rio Baccu Alleri a Ovest e del Rio Iscra Abbatrula a Est.

Su un insediamento preesistente (età del bronzo medio 1500 – 1400 A.C.), composto da diverse capanne costruite senza un ordine preciso nella parte alta del colle, i nuragici costruirono un ampio villaggio santuario, con tre templi a megaron (1200 A.C), caratterizzati dalla pianta rettangolare, così insolita nell’architettura Nuragica, all’interno dei quali si praticavano dei culti che richiamavano numerose persone in occasione di feste e ricorrenze.

I grandi templi di S’Arcu ‘e is Forros sono inseriti nel tessuto di un ampio villaggio, in parte scavato, che ospita numerosi edifici che per le loro caratteristiche hanno permesso di chiarire la vocazione del sito. Determinante in tal senso la presenza di una struttura, che non trova confronti in Sardegna né altrove, interpretata come fornace per la fusione dei metalli. Questa e i numerosi ambienti sono riconducibili alla lavorazione dei metalli (delle vere e proprie officine).

Il sito di S’Arcu ‘e is Forros risulta essere, ad oggi, il più importante centro metallurgico della Sardegna Nuragica. I numerosi reperti rinvenuti rimandano a una vivace dinamica commerciale tra la Sardegna, il levante e la penisola e attestano l’intensità dei rapporti e dei traffici oltre che con l’area tirrenica anche con la Grecia e il Vicino Oriente, fornendo ulteriori prove che testimoniano la centralità della Sardegna, nei traffici e nella rotte da Oriente a Occidente. Testo scritto da Gruppo FAI Ogliastra.

VISITE A CURA DI: Apprendisti Ciceroni Iis “Leonardo da Vinci” di Lanusei, classi del Liceo Artistico, Liceo Classico seguiti dai docenti Giampietro Cabiddu e Anna Maria Fiori.

Orari: 09:30 – 12:30 / 15:30 – 17:30 (ultimo ingresso 16:30)
Turni di visita ogni 30 minuti. Durata visita 60 minuti.

 

L’articolo Giornate di primavera FAI al sito di S’Arcu ‘e is Forros: il più importante centro metallurgico nuragico dell’Isola proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Maria Luisa Porcella Ciusa

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Una scena insolita nella spiaggia di Porto Frailis ad Arbatax.

Un maestoso esemplare di muflone si è concesso, una rapida corsa nel suggestivo arenile ogliastrino.

Con il suo portamento elegante ha passeggiato velocemente sulla riva del mare, prima di lanciarsi con un balzo sulle scalette che portano alle scale e guadagnare rapidamente qualche zona alberata del promontorio che incornicia la zona.

Ecco il suggestivo video realizzato qualche tempo fa.

 

 

L’articolo (VIDEO) Ogliastra, un maestoso muflone passeggia sulla spiaggia proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Il fenomeno del sequestro di persona in Sardegna a scopo di estorsione è stato registrato in particolare tra il 1971 e il 1996.

Ma quanti e quali sono stati precisamente i sequestri avvenuti in questo preciso lasso di tempo? Sebastiano Lai, nel suo “Il sequestro di persona in Sardegna. Dati per un’analisi del fenomeno” ce lo spiega molto bene.

Racconta “In Sardegna il primo sequestro viene datato 1477 e avrebbe avuto luogo nella Baronia di Posada. In ogni altra età se ne segnalano diverse manifestazioni. Ma soltanto a partire dagli anni Cinquanta del nostro secolo diventa un reato dominante nel quadro della criminalità isolana”.

Dal 1971 al 1996, quindi, si sono verificati nell’Isola 176 casi di sequestro ( o di tentato sequestro) di cui il Lai riferisce questi dati:

  • 105 le persone sequestrate
  • 14 le persone sequestrate insieme a un altro ostaggio ( di solito un familiare)
  • 42 le persone che hanno subito un tentato sequestro
  • 15 gli emissari che si sono adoperati per il rilascio dell’ostaggio

L’articolo Quanti sequestri di persona sono stati registrati in Sardegna tra il 1971 e il 1996? proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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La natura è un artista inimitabile che regala sorprese inaspettate.

A tal proposito nel territorio di Ussassai, nella zona di Niala, si trova una cavità carsica chiamata la “Grotta della Madonna”.

Infatti deve il nome alla scultura naturale realizzata dall’acqua, che appare al visitatore quando entra in questo ambiente sotterraneo: forme e linee che ricordano una “madonna con il bambino”.

La natura ha regalato questa “opera” che ricorda i famosi ritratti sacri realizzati dai grandi pittori e scultori del passato.

Non c’è bisogno di molta fantasia e di ricorrere al fenomeno istintivo, conosciuto come pareidolia – cioè la tendenza a vedere forme ed oggetti riconoscibili nelle strutture amorfe che ci circondano -, perché la somiglianza con la “madonna”, appare davvero palese.

 

Nella grotta non mancano le stalattiti e le stalagmiti e concrezioni molto suggestive e non manca neanche la fauna.

Ringraziamo per la segnalazione e le immagini, Giovanni Deplano di Ussassai che ha voluto far conoscere questa cavità naturale così particolare e affascinante del proprio paese.

 

L’articolo A Ussassai si trova la “Grotta della Madonna”: ecco perché si chiama così proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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La Sardegna si dimostra ancora una volta uno scrigno della botanica, capace di custodire al suo interno rari tesori naturali, in un tripudio di biodiversità.

Il Corpo Forestale e di Vigilanza Ambientale qualche tempo fa, in collaborazione con Forestas, ha censito 410 “alberi monumentali” che possono essere definiti tali, secondo i criteri stabilito dal decreto interministeriale del 23 ottobre 2014, seguito alla legge n. 10 del 14 Gennaio 2013 che ne ha istituito l’Elenco nazionale. Un vero e proprio record nazionale, con inoltre 285 esemplari inseriti nella lista degli alberi monumentali d’Italia stilata dal Ministero delle Politiche Agricole e Forestali, dove potrebbero ben presto trovare posto gli altri 115.

Possiamo definire quindi la nostra isola la “Terra degli Alberi Monumentali”, dove sono state censite 65 specie diverse, nelle quali prevalgono il leccio con 81 esemplari. L’Ogliastra vanta 130 alberi, oltre un quarto, ed è la zona con il maggior numero di questi monumenti naturali, rientranti nella lista per il particolare interesse: paesaggistico, naturalistico, monumentale, storico e culturale.

Già nel libro di Siro Vannelli del 1989 “I grandi alberi della Sardegna”, era stato fatto uno studio in materia, nella cui copertina appariva maestoso “S’Iligi ‘e Canali”, il famoso leccio secolare di Seui.

Proprio il paese montano, risulta essere il Comune sardo con il maggior numero di esemplari – ben 30 – presenti nell’Elenco nazionale degli alberi monumentali. Ogni anno l’Associazione Seuesi a Cagliari e nel Mondo Onlus, organizza l’escursione che ogni anno porta a “s’Iligi ‘e Canali”, il “patriarca” di oltre 600 anni, posto al confine della Foresta di Montarbu. Da anni organizzata dal sodalizio con sede a Cagliari, ha visto anche l’apposizione di una targa ai piedi del leccio seuese per antonomasia, dedicata alla guardia campestre Giuseppe Carboni che salvò l’albero dall’abbattimento abusivo negli anni ’40 ad opera di una ditta appaltatrice di deforestazione.

Una strenua e nobile difesa quella di Carboni, con nottate passate sotto le fronde del maestoso leccio alto oltre 30 metri, grazie alla quale possiamo ammirare ancora questo “gigante verde”.

 

 

L’articolo In Sardegna ci sono 410 Alberi Monumentali: il record è nazionale e l’Ogliastra spicca proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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Una laurea in Psicopedagogia conseguita a Roma, un ritorno nella cittadina natale di Bari Sardo, molti lavori inerenti al suo campo di studi – sebbene in cuor suo l’arte fosse sempre presente, ma ci arriveremo – e poi la svolta: Angela Maria Casu è un’artista e la creatività non si può fermare, non si può imbrigliare, chiede spazio e tempo.

«Le mie radici sarde sono state sempre profonde» racconta, alludendo al ritorno nell’Isola. «Ho un rapporto autentico e vero con la mia terra. Ogni volta che parto per un viaggio non vedo l’ora di rientrare, di risentire il profumo unico del suo mare intriso di Mirto, di Lentischio, di Cisto e Corbezzolo. Sì, mi sento fortemente legata alla Sardegna come una figlia al cordone ombelicale e mi adagio nel suo dolce ventre.»

Il Laboratorio di Angiuca – che si occupa interamente di artigianato sardo – nasce proprio così, dal desiderio, in età adulta, di non mettere freni a quella passione che Angela sentiva battere in petto. Sì, inizia piano, in punta di piedi – con la prima mostra che la destabilizza, oltre che emozionarla –, ma poi l’apprezzamento del pubblico la convince a mettere tutta se stessa nelle sue creazioni.

«L’artigianato, a mio parere, non può avere solo un orientamento geografico. L’artigiano vive nel mondo e da esso trae la sua ispirazione per creare. Anche io nel mio piccolo laboratorio ho la finestra aperta su quello che accade intorno a me e lontano da me» chiarisce. «Sono comunque una persona con il suo bagaglio culturale che cerca di realizzare oggetti partendo dalle tradizioni sarde, che fanno parte delle mie radici, arricchendoli di design moderni perché vivo nell’epoca attuale. Ho scelto di chiamarmi Angiuca perché era il nome di mia nonna materna, una donna molto conosciuta e apprezzata per il suo “saper fare”,» spiega «cuciva, ricamava, aveva una piccola biblioteca dei grandi classici (una rarità per l’epoca) e amava generosamente trasmettere le sue conoscenze.»

La vena artistica le arriva direttamente dalla madre Nida – spiega Angela – che è stata allieva nientepopodimeno della grandissima artista di fama internazionale Maria Lai.

«Fin da quando ero bimba ho avuto la grande fortuna di conoscere “Lola” (alias Maria Lai), perché frequentava la nostra casa. I nostri incontri erano sempre stimolanti, creativi e molto ricchi di affetto. Spesso si incuriosiva e mi dava consigli su come realizzare le piccole cose che fin da allora creavo. Era una donna speciale e semplice che amava tutto ciò che si poteva esprimere con il pensiero attraverso le mani. Quando poi diventai più grande, mi chiese di realizzare più volte alcune piccole creazioni che poi utilizzava per le sue meravigliose opere d’arte. Con il tempo ho fatto tesoro di tutti i suoi consigli e li ho elaborati nella mia attività creativa: avevo sempre in mente gli insegnamenti preziosi di mia madre e il suo grande sapere di artigiana.»

Con questo bagaglio di esperienze crea, nel 2019, il suo angolo di mondo artistico: «L’Atelier è dedicato allo studio e alla realizzazione di nuove creazioni e ha rappresentato un punto di svolta, aprendo il progetto all’elaborazione di prodotti realizzati a mano e finalizzati a innovare usi e materiali ecologici con il contributo significativo di attività di design e creatività.»

Particolare l’attenzione all’ambiente: «I tessuti delle mie creazioni sono naturali o riciclati come la juta, la canapa, il lino, la lana e il cotone organico. Le tinture sono ottenute da coloranti vegetali della flora spontanea sarda. Si sperimentano anche nuovi materiali in grado di sposare le mode attuali. Si producono con metodo artigianale oggetti tradizionali ma riadattati in chiave moderna: bambole in juta, stoffe colorate con tinture naturali e tessuti tipici dei costumi tradizionali della Sardegna (broccati, orbace, merletti), complementi d’arredo per la casa e accessori, per un ricco catalogo dove una tradizione artigianale antica s’incontra con l’unicità di una creatività e di una sensibilità artistica moderne.»

Un bisogno: ecco cos’è il creare per Angela, che dà energia e appaga l’anima: «Sono un’amante della natura che mi circonda, ogni piccolo particolare mi attrae. Faccio tante camminate e mi immergo con tutto il mio essere in luoghi dove regna il silenzio acuto della nostra storia archeologica. Al rientro ho sempre desiderio di creare qualcosa che mi ricorda una sensazione, un colore, un profumo, la sensazione che ho provato. Quando creo, entro in un’altra dimensione, mi sento felice e appagata. A volte la mente vaga per giorni fino a quando non porto a termine la creazione» conclude.

«La sensazione più bella è quando una persona a te sconosciuta sceglie un oggetto che hai elaborato perché gli trasmette un’emozione o un sentimento.»

L’articolo Sardegna e artigianato: un tuffo nell’atelier della bariese Angela Maria Casu proviene da ogliastra.vistanet.it.


Fonte: Ogliastra News Michela Girardi

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