Intorno a 6 milioni di anni fa, nel Miocene, lo stretto di Gibilterra si chiuse per effetto del clima arido, il mar Mediterraneo si era ridotto a un insieme di laghi salati e le terre risultavano praticamente collegate tra loro. La Sardegna si ergeva al centro di tutto questo.
Fu in quel periodo che l’Isola conobbe un periodo di grande popolamento da parte di fauna proveniente soprattutto dall’Africa settentrionale. Tra gli animali che fecero la loro comparsa, ben prima degli ominidi, vi fu una specie di scimmia, l’unica che la storia faunistica della Sardegna conobbe.
Si trattava dei primi antenati del “Macaca Majori”, una bertuccia nana tipica della Sardegna, appartenente alla famiglia dei Cercopitecidi e molto simile a quelle oggi presenti a Gibilterra, il Marocco e altre zone del Maghreb (il “Macaca Sylvanus”). Le sue dimensioni erano leggermente inferiori, da qui l’appellativo di “nana”.
I resti fossili del Macaca Majori sardo (Foto di Ghedoghedo by Wikipedia)
Queste scimmie trovarono terreno fertile in Sardegna tant’è che si diffusero all’incirca in tutta l’Isola. A testimonianza di ciò vi sono i consistenti ritrovamenti registrati uno nella parte orientale a
Capo Figari e l’altro a occidente nella zona di Fluminimaggiore, in località S’Orreri.
Non è chiaro quando questo genere di scimmie si estinse, ma la teoria più affascinante, testimoniata da alcuni ritrovamenti come quello di una lampada in bronzo risalente al periodo nuragico, vuole che questi animali entrarono a contatto anche con gli esseri umani e che furono proprio gli esseri umani la causa della loro estinzione. Di sicuro la prezenza del Macaca Majori in Sardegna è stata centrale in tutto il Pleistocene e forse si è spinta sino al Neolitico.
Lampada in bronzo con figura di scimmia ritrovata a Baunei e ospitata al Museo Archeologico Nazionale di Cagliari – Foto: Leonardo Corpino e Roberto Dessy via Sardegna Ambiente
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Fonte: Ogliastra News Roberto Anedda
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