Nel libro “Dante e la Sardegna”, l’autore Pantaleo Ledda ricorda ai lettori come negli archivi pubblici e privati di Pisa, Firenze, Genova, Massa, Roma, Cassino, Marsiglia e della Sardegna si trovasse un ricco materiale documentario che consentì di fare luce sull’opera di Dante e sui collegamenti della Divina Commedia con la nostra Isola.
Come sottolinea Giovanni Mameli nella prefazione al volume, si parla di Sardegna nei canti XXII, XXVI, XXIX e XXXIII dell’Inferno e nei canti VIII e XXIII del Purgatorio. Mameli commenta: “I giudizi dati da Dante sui nostri conterranei non sono lusinghieri. Ma questa severità rientra in una più risentita vena del poeta, che presenta sotto una cattiva luce quasi tutti gli abitanti delle diverse regioni italiane. Alla base di tale condanna c’è il dilagare del peccato, nelle sue più svariate manifestazioni, che viene fatto risalire anche a una forma di governo corrotto e dissoluto”.
Una domanda ci si pone da secoli: ma Dante venne mai in Sardegna? Non ci sono testimonianze a favore di questa ipotesi ma non è da escludere che il Sommo Poeta abbia fatto visita alla nostra isola, considerato il fatto che in quel periodo tantissime navi puntavano verso la Sardegna specialmente per fini commerciali. Ricordiamo, del resto, che in Sardegna venne anche uno dei fiorentini contro i quali Dante si scagliò più duramente, Lapo Saltarelli, del quale si conserva una epigrafe in una chiesa cagliaritana.
Una larga parte del saggio di Ledda è occupata dal commento ai versi sulle donne della Barbagia, che Dante presenta come particolarmente immorali, anche se non licenziose come le fiorentine, per le quali il poeta spende parole molto severe e pungenti.
Spiega Mameli: “Uno dei motivi di tale scandalo sarebbe dovuto alla moda di tenere il seno scoperto. O meglio, le donne usavano delle camicie così scollate che era facile scorgere questa parte del loro corpo. Attraverso una lunga rassegna di testimonianze scritte, Ledda traccia un breve quadro della moda femminile delle zone interne della nostra Isola. Arriva a una conclusione sorprendente, alla fine: nei costumi delle donne sarde non vi è nulla di strano, i vestiti sono belli e pittoreschi e l’accusa di immoralità non ha nessun fondamento. Le testimonianze dimostrano invece una copertura del corpo, dove il viso addiritttura in certe circostanze viene coperto da un velo”.
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Fonte: Ogliastra News Michela Girardi
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