Ricordiamo, a due anni dalla sua scomparsa, Paolo Pillonca.
La Sardegna ha perso uno dei suoi intellettuali più illustri e dai molteplici talenti: professore, giornalista, scrittore, poeta, ma soprattutto studioso e strenuo difensore de “Sa Limba”. Ancora è ricordato con nostalgia dai suoi studenti, le sue lezioni non erano mai banali, sempre coinvolgenti e capaci di instillare nei giovani l’amore per la conoscenza.
Da giornalista libero e mai subordinato, i suoi articoli rappresentano affreschi della realtà, un esempio per le giovani generazioni del mestiere. Quando dovette scrivere sul conflitto a fuoco di Osposidda, fu una delle poche voci che si sollevò contro l’esibizione dei quattro banditi uccisi come trofei di caccia. Dalle colonne de L’Unione Sarda trasparì il rispetto solenne per l’essere umano.
Sterminata la produzione letteraria sia come scrittore che come poeta, dove in ogni frase e verso si riscontrava quel dono regalatogli dalle “janas” di toccare le corde dell’anima, che rendevano quasi musicali le sue opere.
Come una sorta di Prometeo moderno è stato un “eroe” del popolo sardo, capace di trafugare la favilla della lingua sarda all’oblio dell’oscurità, consegnando al terzo millennio la luce sacra più importante della nostra identità. Paolo Pillonca è stato uno studioso rigoroso e attento de “Sa Limba”, la radice più intima del nostro popolo. Ha donato la dignità e la consapevolezza di poter esprimere la lingua della nostra terra in ogni occasione, dalle solenni alle ordinarie, sdoganandola dai miopi stereotipi.
Nell’ interpretare i sentimenti più nascosti della Sardegna, ci ha trasmesso le conoscenze e il vissuto della millenaria tradizione sarda. Dalle zone più nascoste dell’Isola ha raccolto la voce delle persone più umili, valorizzando gli antichi mestieri, rendendo fruibile ai posteri la ricchezza delle conoscenze dei nostri antenati. I poeti che hanno cantato sotto la luce della luna, grazie a Pillonca, sono diventati “immortali”. Come gli autori greci e latini, dei quali aveva una conoscenza e competenza rara.
Più che un testamento quello che ha lasciato, è un sentiero, da definire “andala”, fatta di tutte le sue opere e dei suoi studi, dove anche i giovani del terzo millennio possono ritrovare la memoria storica e linguistica della nostra terra. Un cammino dove è probabile sentire i profumi del bosco e le essenze delle piante endemiche sarde. Perché lui aveva un’attenzione e un rispetto immenso per montagne e foreste sarde.
Adesso riposa nel cimitero di Seui, il paese del Tonneri e di Montarbu, dove lo scorso anno è stato accompagnato in un corteo funebre da amici e conoscenti provenienti da tutta la Sardegna, desiderosi di stare con lui in quell’ultimo omaggio.
Nella rivista identitaria Lacanas continua a vivere il pensiero di Paolo Pillonca, portato avanti orgogliosamente dai figli Piersandro, Fabio e dal nipote Mauro.
Paolo viene ricordato come una persona umile, capace di pesare le parole conoscendone l’intrinseca forza, dotato di una grande ironia. Per chi scrive è considerato un maestro e un punto di riferimento. Il tempo non potrà mai scalfire il ricordo dell’intellettuale, ma soprattutto dell’uomo che è stato.
C’è una strofa della poesia “Flores e Mendula”, nata dal cuore di Pillonca in memoria di un amico pastore, poi diventata una canzone di Piero Marras, che descrive perfettamente questo aspetto. La parola passa quindi ai versi di Pillonca, quasi come se fossero scanditi dalla sua voce:
“Sas istajones t’an fat’a piuere,
su tempus sa carena t’at distrutu,
ma pro chi sias como in terra rutu
dae su coro no nde podes rùere.”
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Fonte: Ogliastra News Federica Cabras
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